Polvere rossa [di Mariapia Bonante]
C’è un angolo d’Africa, in Kenya, dove il cielo e la terra ogni mattina e ogni sera si saldano insieme. C’è un ospedale che non solo cura e salva migliaia di persone, ma è diventato una piccola “città della gioia“, fonte di amore, di speranza e anche di lavoro per tanti. C’è un medico che da diciotto anni, giorno dopo giorno, ora dopo ora, spesso senza soluzione di continuità, neppure di notte, dedica tutto se stesso, fino allo sfinimento estremo, al servizio dei suoi ammalati in ciascuno dei quali ravvisa il volto di Cristo. Quell’angolo è prossimo all’equatore, l’ospedale è quello di Chaaria, quattrocento chilometri a nord di Nairobi, il medico è Beppe Gaido della comunità dei Fratelli di San Giuseppe Cottolengo. Tutto e tutti sono avvolti da una “polvere rossa” che quasi non lascia respirare, a volte, diventa una nebbia fittissima. Arriva dalla terra, dai campi, dove i contadini lottano per strappare alla siccità i raccolti che garantiscono la sopravvivenza. S’insinua fra la pelle e gli abiti delle persone che camminano, nelle strade per ore e ore, s’impasta con i loro capelli, penetra ovunque, si deposita su ogni superficie. E’ diventata il simbolo di una condizione umana, di un popolo, di un’epopea meravigliosa. Per questo gli autori, Beppe Gaido e Mariapia Bonanate, hanno voluto intitolare il nuovo libro, che parla di quell’angolo d’Africa, di quel medico e di quell’ospedale “Polvere rossa” (ed. San Paolo). Arriva al seguito di “A un passo dal cuore” dove Fratel Beppe Gaido aveva iniziato a scrivere, sotto forma di diario, la sua avventura a Chaaria. Sono stati i lettori di quel volumetto che, entusiasti e commossi, ne hanno chiesto con insistenza la continuazione. Ma “Polvere rossa” non è solo il seguito ideale del primo libro, dedicato a una vicenda che toglie il fiato per l’intensità delle emozioni che suscita. E’ anche un cammino che autori e lettori riprendono insieme, abitando sempre più intimamente un pezzo di mondo che ci chiede di metterci in gioco, di “sporcarci le mani” in quell’impasto di sofferenza, gioia, impegno e sfida che è il comune territorio degli uomini e delle donne che stanno camminando su questo nostro pianeta, flagellato da tanti mali, ma chiamato a sfide fondamentali per la sopravvivenza dell’umanità. Sullo sfondo di paesaggi che incantano per la loro eccezionale bellezza, di cieli sconfinati che si colorano di albe e di tramonti mozzafiato, di profumi che stordiscono per la loro intensità, la voce narrante di fratel Beppe parla della gente che è diventata la sua grande famiglia: gli ammalati, i poveri, gli abbandonati da tutti. Racconta le lunghe giornate e le tante notti che trascorre con loro, in sala operatoria, nei reparti sempre affollati con anche due persone per letto, negli ambulatori dove arrivano da tutta la regione, e oltre, migliaia di persone. In primo piano le donne, meravigliose donne d’Africa, che portano sulle spalle tutto il peso delle loro famiglie, che dopo ogni incidente di percorso si risollevano con dignità e coraggio indomito; i bambini, tantissimi che nella loro freschezza ed innocenza creano un legame privilegiato con il cielo, sia quelli che fratel Beppe salva, ma anche quelli che non ce l’hanno fatta e sono diventati i suoi “angeli custodi”. I “buoni figli”, il Cottolengo li definiva “le perle, la pupilla della Piccola Casa”, le “pietre scartate” , che molto più donano di quanto ricevono. Affiorano in quest’affascinante narrazione, scandita da un ritmo serrato e da una scrittura che non spreca una sola parola e riesce a rendere fisicamente presenti e visibili situazioni e personaggi, i grandi problemi dell’Africa, da quello della guerra e della violenza a quello della fame, della povertà estrema, delle epidemie come Ebola e la malaria, l’Aids. Ma emerge anche la forza vitale, la solidarietà, i valori umani e religiosi, la voglia di futuro di un popolo giovane dal quale l’Europa e il nostro Paese possono trarre vigore e fantasia. Anche perché molte situazioni di cui questo libro parla, richiamano, pur in contesti diversi, quelle che viviamo nel Nord del mondo e in Italia. Fratel Beppe ne fa il tema delle sue riflessioni, mai astratte, ma incarnate nelle vicende delle persone che incontra a Chaaria. Ragazze spesso giovanissime, con nomi dolcissimi Lucy, Gladys, Doris, Elosy, Kendi, Lilian, sfortunate vittime della violenza maschile o della povertà estrema, mamme che inseguono con eroica tenacia maternità negate, bambini che sono restituiti alla vita e quelli che lo stesso fratel Beppe deve seppellire di persona, con una stretta al cuore, nella sua Spoon River. Orfani che hanno perso la mamma in ospedale o i cui genitori sono morti per Aids e altre epidemie, un giardino d’infanzia che fratel Beppe visita ogni mattina, prima di immergersi nel “folle” lavoro di giornate insostenibili, per assorbire la tenerezza dei loro sguardi e la dolcezza dei loro sorrisi che gli fanno da viatico nella dura lotta contro la malattia. Nella sua esistenza di medico, vissuta come una chiamata, si alternano momenti difficili e spesso drammatici, quando non ce la fa a salvare l’ammalato, con momenti di gioia commossa quando riesce a far nascere, nonostante drammatiche premesse, un neonato, salvare una donna ridotta a pezzi dal machete di un marito violento, un anziano da tutti rifiutato. Una felicità che pervade tutte le pagine del libro e che è diversa dall’allegria, come lui stesso spiega : “La trovi nella condivisione totale, nella dedizione senza riserve ‘agli ultimi’ ed a coloro che soffrono. E’ una sensazione profonda e vasta, difficile da descrivere, una sensazione di pace interiore che ti fa sentire pienamente realizzato, parte dell’umanità che hai incontrato.” Il microcosmo di Chaaria, un incrocio di migliaia di destini, è il grande protagonista di “Polvere rossa”, “un’ epopea degli ultimi”, dei “senza voce”, dei dimenticati dalla storia ufficiale, che lottano ogni giorno per la sopravvivenza. Accanto a loro Fratel Beppe combatte con pochi mezzi e poche medicine contro malattie impossibili, ma che fino all’ultimo cerca di affrontare in una drammatica sfida; lotta in una solitudine spesso pesante, contro il tempo, sempre troppo poco per un ospedale, “il mio bambino”, che agli inizi era un piccolo ambulatorio, ora ha centosessanta letti ed è diventato i riferimento di una intera popolazione. Parla anche di se stesso, confessando i momenti di scoraggiamento e quelli di gioia, i dubbi e le speranze, le solitudini e l’amicizia con le persone con le quali collabora, vicine e lontane. Racconti che rivelano il coraggio di un uomo buono e generoso, l’intelligenza vigorosa del medico che ha consolidato la sua professione sul campo, sorretto da una fede e da un colloquio permanente con il Cristo delle Beatitudini che lo aiuta a sognare l’impossibile e a realizzarlo. Un uomo e un medico che conclude il suo libro con queste parole che ne esprimono l’anima più profonda e autentica: “Il bisogno della gente, il loro grido di aiuto, sono diventati un salutare pugno nello stomaco ed un continuo stimolo all’azione: ci siamo impegnati, abbiamo studiato, ci siamo formati ed attrezzati in modo da dare risposte sempre più qualificate a chi si rivolgeva a noi. La morte, i bisogni disattesi, la richiesta di aiuto si sono trasformati in energia positiva che ha dato vita all’ospedale. E che ogni giorno mi rigenera e mi apre alla speranza di un futuro sempre di più al servizio degli ultimi.” * “Polvere rossa” Edizioni San Paolo, sarà in libreria a metà novembre del 2015. |