La riconquista degli spazi pubblici [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 21/10/2015. La città in pillole. Il dialogo e la piazza trasferiti dal Fai negli edifici storici. Accade improvvisamente di vedere materializzarsi il senso profondo di uno spazio pubblico al di là di teorie e punti di vista. Capita quando non è solo la tipologia dello spazio fisico a fare la differenza ma il suo utilizzo sociale. In altri termini quando si può abitare quello spazio come proprio, sostarvi, intrattenersi, ascoltare musica o partecipare ad un dibattito. O semplicemente prendersi tutto il tempo che si vuole e sostare in chiacchiere e persino abbandonarsi a una risata senza autocensure o senza che qualcuno lo impedisca. Lo spazio pubblico, accessibile e non antagonista, è questo. Senza classificazioni. Di rado la comunità può accedervi in una dimensione familiare perchè, sono, solitamente, altro dalla privatezza. Quanto è accaduto nelle ultime domeniche a Cagliari, grazie ai volontari del FAI, è aver trasferito in edifici storici, dedicati all’elaborazione di saperi e al loro scambio, il dialogo e la piazza o meglio gli “spiazzi” avendo la Sardegna nel Dna più i secondi che le prime. Aver abbattuto divisioni e mescolato ambiti; trasceso ruoli e riconsegnato ciascuno alla funzione propria all’essere umano ovvero la relazione; superato la comunicazione verticale e favorito quella orizzontale, giustificano tanta gioiosa partecipazione. Che un professore o persino un rettore o un alpino con un giovanissimo “apprendista cicerone” del Fai di Santa Caterina o della Regina Elena o di Senorbì o di Selargius accolgano o accompagnino i cittadini, avendo una comune missione, dà inoltre valore alla dimensione intergenerazionale, filo d’acciaio per la rinascita del senso di comunità. In tempi di disinvolte privatizzazione, agire la dimensione collettiva dello spazio pubblico restituisce identità e democrazia e di conseguenza speranza. |