La legge Severino e tutti i nostri dubbi etici [di Michele Ainis]

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Corriere.it 20 ottobre 2015. Ora una sentenza potrà decapitare il regno di De Luca e de Magistris o rimettere la testa sul collo a Silvio Berlusconi. Ma soprattutto potrà dirci dove siamo, dove si situa l’asticella della morale pubblica in questo importante e delicato passaggio.

Quant’è severa la legge Severino? E quanta severità esprime la Costituzione rispetto alle magagne dei politici? Nel giudizio che s’apre stamattina dinanzi alla Consulta risuona un dubbio etico, prima ancora che giuridico. Questo dubbio ci ronza nel cervello da tre anni, da quando la nuova disciplina ha espulso dal Parlamento Berlusconi, da quando ha messo sotto tiro re e viceré della Campania, De Luca e de Magistris. Adesso una sentenza può decapitare il regno dei Borbone o rimettere la testa sul collo all’ex regnante dello Stato italiano.

Soprattutto, però, la prossima sentenza potrà dirci dove siamo, dove si situa l’asticella della morale pubblica in questo passaggio della nostra storia.

Perché i giudici costituzionali non abitano dentro una mongolfiera, hanno i piedi piantati sulla terra. Non a caso nel 1969 si sbarazzarono del reato d’adulterio femminile, quando sette anni prima l’avevano salvato. Fra le due decisioni c’era stato il Sessantotto, la rivoluzione dei costumi, il movimento femminista; e la Consulta, ovviamente, s’adeguò. A maggior ragione dovrà farlo in questa circostanza, dov’è la Costituzione stessa che s’affida a un termometro sociale.

Dice l’articolo 48: il diritto di votare e d’essere votati subisce restrizioni nei casi di «indegnità morale». Aggiunge l’articolo 54: chi riveste una carica pubblica deve adempiervi con «onore». Un tempo il disonore colpiva i falliti, vietandone l’accesso in Parlamento; ora grava sui responsabili d’una serie di delitti, dall’omicidio all’abuso d’ufficio. D’altronde anche la legge

Severino è figlia della storia. L’incandidabilità degli amministratori locali non è una sua invenzione: fu introdotta nel 1990, e in un quarto di secolo è uscita ripetutamente indenne dall’esame di legittimità costituzionale. Nel corso degli anni, tuttavia, quella disciplina si è inasprita.

Specialmente dopo Tangentopoli, quando una domanda di rigore si riversò sulla medesima Costituzione. Venne emendato, così, l’articolo 79, rendendo più impervia l’amnistia. Fu corretto l’articolo 68, allentando le immunità dei parlamentari. E intanto pure il loro trattamento economico subiva progressive contrazioni (per esempio attraverso una legge del 1994). Mentre via via diventava più stringente il regime dell’ineleggibilità, dell’incompatibilità, dell’incandidabilità.

Sicché adesso siamo qui, ancora nell’epoca dell’intransigenza oppure all’alba d’una stagione di lassismo. Ma il dubbio etico, in questo caso, è anche un dubbio del diritto. Perché la Costituzione vieta le pene retroattive; se allora è una pena, quella in cui è incappato de Magistris, lui sarà libero, la Severino imprigionata. Sia detto sottovoce: sarebbe un errore giudiziario. Che oltretutto smentirebbe un intero filone di giurisprudenza, inaugurato dalla Sentenza costituzionale n. 132 del 2001 e avallato nel 2013 anche dal Consiglio di Stato. Sta di fatto che la decadenza da sindaco o da governatore non è una pena, al pari dell’ergastolo; discende piuttosto dall’assenza (sopravvenuta) di un requisito elettorale, come l’età, come la cittadinanza. Dunque la retroattività non c’entra un fico secco.

Se una riforma stabilisse che d’ora in poi si diventa deputati a quarant’anni, anziché a 25, non s’applicherebbe forse da subito ai ventenni? È questa la domanda cui dovrà rispondere, adesso, la Consulta. Anzi la doppia domanda, etica e giuridica. Ma c’è un grumo d’interrogativi che s’indirizzano viceversa alla politica, alle assemblee legislative.

Primo: è ragionevole che l’incandidabilità scatti dopo una sentenza definitiva di condanna, mentre una sentenza non definitiva provoca la sospensione dalla carica per 18 mesi? A occhio e croce no, come mostra la vicenda De Luca: candidabile e candidato vittorioso, però sospeso di diritto finché un giudice non ha sospeso la sospensione, in attesa che decidesse la Consulta.

Secondo: uno qualunque fra i nostri 630 deputati è più importante del sindaco di Roma o del governatore della Lombardia? Eppure il primo viene protetto fino a sentenza inappellabile, i secondi no. Ecco, metteteci una pezza. Dopotutto l’etica non può divorziare dalla logica.

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