Di gravidanza, di code e di sanità di base [di M. Tiziana Putzolu]
Alle 8.30 ci sono già 4 persone in coda. L’ambulatorio medico apre alle 9.30. Fino alle 11.30. Due ore al giorno di apertura per cinque giorni alla settimana. La fila si fa all’aperto, sotto un portico, dietro una cancellata chiusa. Il marciapiede è stretto. Il paese uno dei tanti paesoni cresciuti male della provincia. Intorno case costruite a metà, pitturate a metà, rustici non finiti. Nell’insegna della farmacia di fronte scorre la pubblicità a tratti ammiccante sulla croce illuminata. Unico elemento di una triste modernità. Post moderno fino al midollo. Tempi dilatati ed ancestrali. Dietro il cancello si aspetta che qualcuno arrivi ad aprire l’ambulatorio. Ogni nuovo arrivato chiede sommessamente agli astanti chi è l’ultimo? Fitto chiacchiericcio tra le donne appoggiate alla ringhiera. L’attesa sembra lunga. Il dottore a che ora arriva? Mah, dipende. Intanto un’ora se ne va. Il gruppo cresce. Per ingannare l’attesa qualcuno legge il cartello degli orari di apertura dell’ambulatorio affissi al muro. Poi, finalmente, arriva il dottore. E’ arrivato il dottore! dice sottovoce qualcuno. Si spalanca il cancello ed entra nel cortile interno con l’auto. I pazienti gli aprono il varco e lui scivola tra le due ali. Brusio. Apre l’ambulatorio. La fila entra con ordine nella ordinata sala d’attesa, con tante sedie. Finalmente! Un signore con una borsa gonfia attira l’attenzione delle donne più anziane. È un rappresentante, dice una. Ha diritto di passare ogni tre pazienti. Aggiunge un’altra, guardandomi. Calcolo che così sono la quinta. Vabbè. Mi metterò a leggere. Ci si accomoda con ordine. Diverse sedie sono ancora vuote. Arriva una giovane con il pancione. Pantacollant e maglia corta. L’anziana la osserva severa e le comunica solerte la sua posizione nella fila. Lei le risponde solerte che purtroppo per voi ho la precedenza perché sono incinta. Non sembra che stia male. Non accenna a sedersi. L’anziana mi guarda e mi dice sottovoce che lei, invece, sta male. Ma un’altra giovane la sente ed interviene a zittirla. C’è la legge. Dice severa brandendo il dito indice. Vorrei dirle che no, purtroppo c’è solo il buon senso, che andrebbe usato in ogni senso, e qualche disposizione negli uffici pubblici. Ma una legge no. Proprio non c’è. L’anziana mi guarda, tira giù le spalle. Mi dice che lei viene anche a fare le ricette o a prendere il posto per i figli che lavorano. La giovane incinta entra dal medico. Nel frattempo arriva un’altra. Anche lei visibilmente incinta. Sembra uno scherzo. Tutti si guardano e sorridono. Esce la prima ed entra la seconda. Poi la terza che era la prima in origine. La donna anziana tenta una difesa quando capisce che sta per entrare l’informatore piazzatosi strategicamente vicino alla porta del dottore. E lei non si sente bene. Forse non è completamente vero, ma fa molta tenerezza. Si alza, si avvicina e glielo dice con garbo e lui con garbo le nega la precedenza. Dice ci metterò tre secondi. Lei risponde pronta ci metterò tre secondi anche io. In ogni caso la mia posizione nella fila va riconsiderata. Sono scalata al settimo posto. Penso che ho preso un giorno di ferie per fare una banale prescrizione medica. Che ho aspettato in piedi sotto un portico all’aperto per un’ora. Penso anche che se fossi una giornalista questo potrebbe essere un articolo. Con un titolo. Donne, gravidanza e diritto di precedenza. Penso che in una nazione, in un’isola che ha un tremendo calo di nascite ogni gravidanza è diventato un sacrario. Ogni bambino nato un idolo da adorare, riempire di ogni ben di Dio ed osannare come un principe. Un titolo in questo caso potrebbe essere Sia benedetto il frutto del tuo seno. Ma non so. Sarebbe ironico. Dovrei stare attenta. Per non incorrere nell’anatema di essere una donna contro le donne. Meglio sarebbe un titolo che richiami il tema della sanità di base. Poi considero la situazione da un altro punto di vista e penso che questa società sia diventata conflittuale anche nelle piccole cose. Quelle per le quali non le leggi ma il buon senso sarebbero sufficienti. Che il rispetto per gli anziani abbia saltato un fossato. Fra poco è il mio turno. Sono quasi le 11.00. Chiudo il ragionamento pensando che l’uomo è andato a vedere cosa c’è su Marte, che possediamo telefoni spaziali. Che siamo connessi con il mondo intero. Che amici in ogni parte del mondo ci mostrano su uno smartphone in tempo reale Londra o l’Australia. Che con un’app cucino, suono, viaggio, giro a piedi per città sconosciute, prenoto un’auto a Milano. Una mattina dal medico di base è invece inebriante come prendere la De Lorean di Ritorno al futuro dopo aver impostato il tempo a cinquant’anni prima. Il dottore apre la porta. Avanti il prossimo. |
La figura del medico di base andrebbe rivista. Ci sono medici che non aprono lo studio neanche tutti i giorni e per solo due ore al giorno. Il mio medico apre quattro giorni su cinque e se capita una festività infrasettimanale il giorno prima non apre (ad esempio il prossimo 8 dicembre cade di martedì per cui il medico sarà chiuso anche lunedì con la conse-guenza che i giorni di chiusura saranno quattro e si può immaginare cosa sarà la giornata di ambulatorio del 9 dicembre). Fuori dall’ambulatorio si aspetta sul marciapiede (d’estate al sole e d’inverno al freddo) anche per un’ora. Perciò è diventato un servizio sanitario pubblico di pessima qualità.
Il fenomeno andrebbe studiato per approdare a soluzioni più adeguate alla nostra nazione (ricordiamoci che l’Italia è tra i primi sette paesi più progrediti, fa parte del G7). Da cittadino penso che: 1) i medici hanno troppi pazienti; 2) guadagnano troppo o perlomeno hanno un reddito forfettario eccessivo (perché un insegnante di liceo guadagna 1600 euro al mese mentre un medico di base ne guadagna 5000?); 3) dovrebbero raddoppiare l’orario di apertura dell’ambulatorio e assicurare l’apertura per cinque giorni a settimana; 4) dovrebbero mettere in rete internet i propri pazienti in modo da inviare via mail impegnative ricorrenti (se io soffro di ipertensione e tutti i mesi ho bisogno di due farmaci, sempre gli stessi, perché su mia richiesta telematica il medico non potrebbe inviarmi la ricetta sulla mia mail?).
Insomma si potrebbero fare tante cose, non ultima costringere il medico ad aprire l’ambulatorio mezz’ora prima delle visite (perciò il medico dovrebbe avere un collaboratore per fare questo servizio, e magari pulire per bene le sale d’aspetto (ne ho trovate molte che sicuramente non hanno visto la scopa e lo straccio da terra da mesi!!! E sui tavolini ho trovato pile di giornali consunti datati anche dieci anni prima!!!). Le ASL si diano da fare, c’è molto da regolamentare meglio per offrire ai cittadini un servizio dignitoso.
E grazie a Tiziana per aver portato all’attenzione quella che considero una specie di vergognosa piaga sociale.