Ma cosa serve la politica se è tutta in mano ai prefetti (ai magistrati e ai tecnici)? [di Maurizio Guandalini]
L’HuffPost 03/11/2015. Ricordate la Lega di Bossi? Prefetti a casa. Prefetture chiuse. Era uno dei punti del programma politico dei fazzoletti verdi. Un idea che aveva catturato anche molti liberali sull’onda di una domanda semplice: ma che funzione hanno le prefetture? Sbaraccare era una soluzione convincente perché c’era la sensazione, e la convinzione, che si eliminava una struttura burocratica, polverosa che frenava, e soffocava, lo stesso sviluppo del Paese e il funzionamento dell’arrugginita macchina statale. Sembra passato un secolo. Nessuno più ne parla. La stessa Lega si guarda bene di ripescare quelle proposte. E i liberali alla Berlusconi? Peggio dei smemorati di Collegno. Il Pd proprio non proferisce parola. Anzi. Con Renzi i prefetti (e i magistrati) sono tornati centrali. Da Gabrielli a Tronca. Addirittura sono riveriti. La loro missione salvifica è santificata. Sono assurti a modelli. Il loro intervento è pronto, arriva quando la politica è sfinita e incapace. E pensare che i prefetti sono e rimangono un coacervo di privilegi nell’esercizio delle loro funzioni che spaventa (quattro anni fa il Pd e l’Unità attaccarono duramente il prefetto Tronca. Stando all’articolo di Jacopo Iacoboni su La Stampa, Tronca distolse dal pubblico servizio un mezzo dei vigili del fuoco per portare il figlio ad una partita di calcio). Sono dei mastini dal potere intoccabile, che ingessano e conservano ogni “cosa” che toccano. E alla fine della fiera la politica deve arrendersi. Forse la scuola dei prefetti è la nostra Ena (la mitica scuola d’amministrazione francese)? So di essere blasfemo ma sicuramente c’è, si scorge, in questo travaglio la ricerca di un appiglio per dire anche noi che abbiamo una burocrazia statale di livello. Nell’intervista a La Stampa il professor Massimo Cacciari analizzando criticamente il “fare” di Renzi si fa una domanda che si fanno in molti: ma il premier non era quello che diceva di voler mettere la politica al comando? Renzi aveva come compito, se lo è dato lui, la centralità della politica. La politica che riprende il suo ruolo guida dopo il Governo Monti, quello dei tecnici. È vero che probabilmente nemmeno lui si aspettava una tale cloaca. È vero anche che il tecnicismo da magistrati l’Italia l’ha già subito pesantemente durante Tangetopoli, una supplenza alla politica che abbiamo pagato in modo caro (addirittura Di Pietro fece un partito). Le rate sono ancora in corso. Cantone, Gabrielli, Tronca, ma altri che sono già operanti e che provengono dalla magistratura, da De Magistris sindaco di Napoli a Emiliano presidente della Regione Puglia, lo stesso Sabella assessore alla trasparenza della giunta Marino, fino alla massima espressione del tecnicismo statale con il Governo Monti, dagli ammiragli ai prefetti nei posti chiave dell’esecutivo. Queste personalità nascono come tecnici, e ci tengono a ribadirlo in ogni occasione, ma poi hanno una metamorfosi che li porta ad essere consumati politici. Sarà il sistema mediatico, il narcisismo spettacolare, però anche i più integerrimi sono vittime di un cambiamento impressionante. Prendiamo il solo esempio di Cantone. Come presidente dell’Autorità anticorruzione parla distribuendo giudizi: Milano capitale morale e Roma non ha gli anticorpi contro la corruzione. Un giudizio politico che deve fare un politico. E poi Cantone viene intervistato su tutto e lui di certo non si tira indietro. Questa linea poco chiara, dove non ci capisce se parla il tecnico o il politico ha influenzato anche la categoria dei professori. Prendete il caso di Boeri presidente dell’Inps. Quando interviene e dice che occorre tagliare il vitalizio dei parlamentari fa un intervento marcatamente politico. Così quando reclama e indica il modo di fare la riforma delle pensioni. Non stiamo discutendo sulle funzioni ma sulle interviste, le uscite sulla stampa e in tv, il dichiarare a getto continuo. Non è compito del tecnico, colui che è stato chiamato ad una funzione di servitore dello Stato, stare sotto i riflettori. Oggi Berlusconi per legittimare il centro destra al governo di comuni, regioni e in futuro del Paese, ha la necessità spasmodica di ‘svendere’ la coalizione a dei tecnici, a dei manager. Così ha vinto a Venezia con un imprenditore. Vorrebbe fare lo stesso a Milano, forse con Scaroni ex presidente dell’Eni e a Roma tifa per Marchini che ha un excursus professionale fuori dai partiti di centro, destra e sinistra. Solo Renzi può mettere un argine a questo dilagare che non ha nulla di preoccupante ma che a lungo andare lascia spazio alla convinzione, diffusa, che i partiti e la politica non contano nulla, perché ‘fare le cose’ non è di centro, di destra e né di sinistra. Ma quello che è più grave è dare l’idea che la fonte dei privilegi e del magna-magna sono esclusivamente i politici. Così si nascondono centrali di potere dove privilegi e sprechi sono ben più consistenti e spaventosi. È una maschera di conservazione che permette di preservare lo status quo, nascondendo responsabilità e colpe di peso. Renzi ci ha convinto, in un primo momento, anche nella lotta contro i papaveri dentro la pubblica amministrazione e in particolare nei ministeri. Purtroppo anche lì l’azione di contrasto, ancora in corso, è faticosa, per lunghi tratti impossibile. Ci piaceva il Renzi contro tecnici e professori come consiglieri, poi però ne sta prendendo di continuo a Palazzo Chigi, fidati, ma probabilmente con scarsa capacità di contrasto verso coloro che già ci sono, da sempre. Ci vuole politica, politica e ancora politica. Una politica coraggiosa in grado di farsi dei nemici: solo in quel caso dimostrerà se ha le spalle larghe per reggere soprattutto nella ridefinizione dell’organigramma del potere statale. E perché no, caro Renzi, non sarebbe male riprendere in mano quella vecchia proposta della Lega. |