Ripensare insieme la “città del sole” [di Stefano Puddu Crespellani]
Cagliari è una città di bellezze inenarrabili, poco valorizzate e spesso poco conosciute perfino dai cagliaritani stessi. Tra le risorse poco valorizzate ci sono anche quelle intellettuali: tantissime persone competenti e creative che la politica non riesce ad attivare, o che magari coinvolge ma poi non ascolta. A Cagliari manca una tradizione di dibattito pubblico orientato alla progettazione della città: le teste pensanti ci sono, alcune lo fanno per incarico istituzionale, ma si tratta di un lavoro poco condiviso e frammentario, per insufficiente ricerca di consenso, o per l’incapacità di proporre modelli di città realmente alternativi su cui articolare il dibattito. Gli scontri, di profilo più basso, non riescono o non vogliono coinvolgere la città, perché si giocano tra gruppi ristretti, uno contro l’altro armati. In questo contesto, il senso di appartenenza dei cagliaritani sembria insufficiente per superare l’individualismo imperante. Invece questa cultura urbana, civica, progettuale, lungimirante e partecipata va oggi costruita come il nostro bene più prezioso. È un lavoro trasversale e intergenerazionale, rispetto al quale nessuno che abbia a cuore i destini di Cagliari può sentirsi indifferente. E diventa un primo criterio per valutare l’operato politico dei governanti: se favoriscono o no processi di questo tipo, in modo aperto, coinvolgente e documentato. La seconda premessa è che il tempo dell’economia basata sulla crescita, che ha caratterizzato gli ultimi cinquant’anni, si è concluso per sempre – e per fortuna. Il bilancio di questa tappa, visto in prospettiva, è fallimentare: ha portato un benessere illusorio, esagerato quanto effimero, accompagnato da un impoverimento sostanziale delle nostre esistenze, che possiamo constatare nella crescente sproporzione tra cose da fare e tempo disponibile, o tra soldi disponibili e spese da affrontare. Crescono le disuguaglianze mentre sperimentiamo un processo rapidissimo di precarizzazione e di indebitamento, che ci rendono più dipendenti, economicamente e anche mentalmente. La preminenza di questa economia d’assalto globalizzata, superficiale e senza scrupoli motiva la scomparsa di una politica “alta”, orientata alla salvaguardia dei “beni comuni”; le preoccupazioni sono tutte sul corto periodo, cercano ricadute veloci sull’immagine pubblica quando non il tornaconto monetario. La deriva di questo sistema ormai fuori controllo ci ha portato, in tempi rapidissimi, a una fase di squilibri e turbolenze economiche e sociali, ma anche ambientali e climatiche, di cui vediamo appena i primi sintomi. Il clima dà luogo a fenomeni estremi, come abbiamo visto più volte di recente; situazioni che non chiedono soltanto risposte d’emergenza quanto piuttosto una volontà di riprogettazione molto seria del nostro vivere in comune, con la sostenibilità come criterio principale. Peraltro, l’uso demenziale che è stato fatto del territorio sardo, in materia di industrie contaminanti e di servitù militari, non aveva bisogno del cambiamento climatico per fare scattare il senso di un allarme ambientale urgente. Questo sarà uno spartiacque tra proposte politiche per la città di Cagliari: da un lato, quelli che vendono ancora la speranza impossibile di “riagganciarci alla crescita”, coltivando un immaginario di ipotetiche “eccellenze” che in realtà sono la condanna a un clima di competizione estrema; è la politica “da carta patinata”, costruita attorno al marketing, ubriaca di immagini vuote, che nascondono le situazioni reali di sofferenza e di degrado, di vuoto e abbandono, quelle che sfociano nell’emigrazione, nel calo demografico, nell’apatia e disimpegno. L’altra prospettiva è quella di accogliere il naufragio di questo modello come opportunità per ripensare il vivere comune a partire dalla coperazione. La sfida è quella di costruire insieme una società capace di farsi carico delle necessità di tutti. Abbiamo grossomodo 15 anni, da qui al 2030, per ridefinire le politiche urbane su basi diverse, improntate alla sostenibilità ecologica e sociale, cioè alla promozione della qualità reale della vita per i suoi abitanti. Questo processo dobbiamo farlo insieme, ascoltando le idee di tutti. Bisogna aprire tavoli inclusivi su ambiti tematici, comunicare instancabilmente i risultati delle riflessioni, dinamizzare dibattiti e processi di deliberazione di carattere pubblico. È utile guardarsi attorno, studiare gli esempi di altre città, magari grazie al contributo di sardi che ci hanno vissuto per un certo tempo. Il nostro è un popolo viaggiatore, curioso e attento, portato a integrarsi positivamente nelle comunità di accoglienza; una proposta politica che voglia cambiare Cagliari e la Sardegna deve pensare seriamente in che modo valorizzare l’esperienza e conoscenza dei sardi del “disterru”. Per esempio, è molto interessante la tendenza alla rimunicipalizzazione dei servizi fondamentali, cominciando dall’acqua (ma anche elettricità, gas, rifiuti), con l’obbiettivo di dare un miglior servizio a un prezzo ridotto per i cittadini. Sono cose che non si fanno dall’oggi al domani, ma che richiedono studio, decisioni a medio termine e la chiara volontà politica di invertire una tendenza alla privatizzazione dei servizi essenziali. Il tema della mobilità reale, urbana e interurbana, dev’essere anch’esso inserito in una cornice di ristrutturazione energetica, che abbiamo il dovere di progettare con realismo visionario: occorre trasformare il modello di trasporto privato basato su idrocarburi per dare priorità al trasporto pubblico, ove possibile su rotaie, e con una elettrificazione crescente, a cominciare dal servizio di taxi, tanto per fare un esempio. Queste prospettive hanno bisogno di studi precisi, per valutare costi attuali e investimenti necessari, o per individuare aree di interesse specifico e progetti pilota da seguire, su cui stabilire accordi trasversali, tra le forze politiche e con la cittadinanza. La responsabilità di costruire insieme un futuro diverso deve improntare un modello educativo diffuso, sulla scia delle cosiddette “città educatrici”, dove la valorizzazione di cultura, patrimonio, storia e risorse proprie sono la risposta locale a queste sfide globali. Rafforzare le sinergie, cercare tutte le intersezioni possibile tra educazione, cultura e salute, per rendere, anzitutto, la nostra vita interessante e meritevole di essere vissuta. Anche per il turismo vale l’idea che non si tratta di trasformare Cagliari in un parco tematico, ma di rendere la città accogliente, capace di offrire cultura, creatività, gastronomia, eventi d’interesse, ma anche tranquillità, spazi di salute e di contemplazione. Cose che valgano per tutti, anche per noi. In un contesto di generale aumento dell’età media, Cagliari potrebbe diventare una città pioniera nelle politiche di invecchiamento attivo, promuovendo formule abitative per i bisogni di persone culturalmente vive ma con limitazioni dell’autonomia. Per altro verso, Cagliari ha bisogno di alloggi adeguati per i giovani universitari, che possono dare linfa alla città se solo si tenesse conto della specificità dei loro bisogni (e possibilità); anche questo è un tema che ha bisogno di un ruolo più attivo da parte dell’amministrazione pubblica. Per non parlare delle enormi possibilità di riutilizzo civico di zone militari in dismissione. Tutte queste idee richiedono processi di elaborazione e deliberazione collettivi, che non finiscano in chiusura di campagna. Cagliari si trova oggi in un momento di effervescenza, sottolineato dal sorgere di molte proposte di candidature civiche: vuol dire che i fermenti non mancano. Le proposte più consistenti ed inclusive sapranno farsi strada; ma il punto più essenziale è la disponibilità a dialogare con le altre candidature su proposte concrete, prima e dopo il momento elettorale. Per questo è bene incontrarsi, stabilire processi di lavoro a partire da dati reali e condivisi, valorizzando le competenze di chiunque le abbia. Le idee non si possono “rubare” quando si pensano insieme. In definitiva, oggi la politica è un tessuto da ricucire. La distanza tra il mondo reale e i centri di decisione, tra i bisogni delle persone e il dibattito pubblico, tra la vita associativa e l’intermediazione politica, è divenuta troppo grande, ed è necessario riaprire i giochi, al di fuori di quei gusci vuoti che sono diventati oggi i grandi partiti, specialmente quelli “italiani”. Per questo è necessario riaprire i giochi, rimettere la città in movimento. La giunta Zedda ci ha provato, ma non è stato sufficiente. Si tratta di metterci più coraggio visionario e anche maggiore umiltà, per costruire la capitale delle sinergie, la Cagliari possibile che sia all’altezza dell’idea di giustizia, di prosperità e bellezza che riusciremo a pensare e costruire insieme. |