San Martino [di Franco Masala]

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La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar

Così nel 1883 cantava Giosue Carducci nella poesia (un tempo) famosa intitolata San Martino. Sì, quello dell’estate che ogni 11 novembre ritorna a splendere per poco, ricordando l’episodio del Santo cavaliere di Tours: incontrato un mendicante seminudo e infreddolito, Martino aveva tagliato in due il suo mantello, donandolo al povero, che in realtà era Gesù Cristo. Ciò che portò alla conversione dell’ufficiale romano e alla sua missione episcopale nella città francese.

Altri tempi quando la maestra (unica e non moltiplicata) portava in classe i frutti di stagione (per esempio, le castagne con il riccio) tanto da far capire la progressione del tempo e la diversificazione dei prodotti della terra a seconda del momento. Cosa forse oggi impensabile quando troviamo fragole a dicembre e ogni sorta di frutti esotici in tutte le stagioni con la conseguenza di una confusione di sapori e di colori che avrebbe messo in crisi il Caravaggio e tutto il filone pittorico della “natura morta”.

Oggi, in questo scorcio di novembre tornato caldo, andiamo ancora al mare in un’estate di San Martino allungata e inaspettata. E allora per prefigurare l’autunno della tradizione e in attesa del vino novello vale la pena fare un tuffo nel passato e continuare a leggere Carducci:

ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor dei vini
l’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando
sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.

*Retablo di San Martino, part., sec. XV (Oristano, Antiquarium Arborense)

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