Il bianco del sale e del calcare [di Maria Antonietta Mongiu]

san francesco

L’Unione Sarda 11 novembre 2015. La città in pillole. Quei luoghi con tanto da insegnare a chi vuole ascoltare.

Quando partirai, diretto a Itaca, che il tuo viaggio sia lungo ricco di avventure e di conoscenza”. L’incipit di Konstantinos Kavafis in “Itaca” viene alla mente se capita di gettare lo sguardo verso il Mediterraneo dalla sommità del colle del borgo di sant’Elia, dove è ineludibile un luogo insegretito ma nell’oggi per una manciata di casupole con pochi uomini e molti cani. Inquieta la dissonanza rispetto alla città che lontananza e dissolvenza restituiscono murata e minuta.

Toglie il fiato ancora di più pensare alla gente che da millenni attraversa quel braccio di mare fino alla darsena, ciascuno convinto di approdare alla sua Itaca o, sciogliendo gli ormeggi, di cercarne un’altra.

Ancora di più figurarsi quella struggente e piena di sorprese che ognuno può trovare nella città come Leopold Bloom nell’ ”Ulisse” di James Joyce. Forse si potranno anche incontrare “i Lestrigoni e i Ciclopi e il furioso Poseidone” ma non faranno paura se l’emozione ci accompagnerà e l’anima “non li porrà” davanti ai passi. E allora Cagliari, dei bianchi colli, avrà tanto da insegnare a chi con umiltà e gioia è disposto ad ascoltare.

Magari attraverso un colore. Il bianco per tutti, del sale e del calcare che digrada verso il colore della sabbia. Il primo ormai smarrito lo si ritrova nell’altra sponda di Santa Gilla dove brilla al sole in montagne, memoria di quelle di Molentargius e di San Pietro, diventate queste ultime ferrovia. L’orma dei benedettini resiste nelle due chiese di San Pietro, capolavori architettonici, e manifesto della rinascita dopo il periplo dell’anno mille, tutt’altro che catastrofico.

Resiste il bianco del calcare e di migliaia di scalpellini che costruirono labirinti sotterranei e maestosi edifici e quell’Itaca che non ti ingannerà mai “perché sei divenuto saggio”.

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