Sardegna canta [di Franco Masala]
Così spiritosamente fu ribattezzata Suor Angelica di Puccini, rappresentata a Cagliari nel 1989 con cantanti tutte sarde, nessuna delle quali fece poi particolare carriera. E Sardegna canta si potrebbe ripetere per La Jura di Gavino Gabriel, ora in scena al Lirico di Cagliari. Anche se poi paradossalmente sono proprio i canti a tàsgia, intonati dal Coro dell’Accademia popolare gallurese “Gavino Gabriel”, a costituire la parte più valida dello spettacolo. Non sembra molto riuscito, infatti, il connubio tentato dal compositore fra canti tradizionali e melodramma, anche perché, obiettivamente, lo spessore musicale non è gran cosa. L’introduzione orchestrale si assimila subito a una colonna sonora, complice lo schermo sul quale passano cieli nuvolosi, con un linguaggio tardo romantico nel quale gli archi la fanno da padroni tanto da rievocare certi drammi cinematografici hollywoodiani. E dopo, non bastano qualche sventagliata di tromboni o un ottavino a recuperare interesse verso una drammaturgia elementare, statica e poco teatrale. La vocalità dei protagonisti – soprano e tenore – sale di frequente ad acuti ingiustificati di tipo verista. Il personaggio più tragico – Pasca, sedotta e abbandonata e resa demente dalla morte del frutto del peccato – entra, canta, esce senza quasi interagire con nessuno. E lasciamo perdere il testo inutilmente aulico e forbito e quanto meno “altro” rispetto alla parlata sarda. La messa in scena, affidata in toto a Christian Taraborrelli, alterna qualche intuizione efficace a scelte discutibilissime: che ci sta a fare la scritta luminosa che attraversa il palcoscenico in uno spettacolo dove elementi simbolici si alternano a spunti realistici? E che dire delle coreografie? Il ballo tondo sui generis del primo quadro si evolve (o si involve) in una danza sulle punte con ballerine dalle spalle nude ma con il costume tradizionale. Per tacere degli interventi coreutici nella scena del fidanzamento quando compare inopinatamente una danza “televisiva” con due coppie a destra e due a sinistra a piroettare simmetricamente. L’esecuzione è nella terza revisione approntata oggi dopo la prima del 1928 e la doppietta di Napoli-Cagliari del 1958-59: Gabriel vi tornò più volte, forse poco convinto dei risultati. Il lavoro filologico ha portato all’attuale versione (definitiva?) finanziata dalla Regione Autonoma della Sardegna con una spesa spropositata nell’ambito del progetto “Smart Business Factory” (Programma Operativo FESR 2007-2013). Di contorno una serie di eventi collaterali compreso un convegno sul musicista assai poco partecipato: nella sessione tenuta nell’Aula magna della facoltà di Lettere il numero dei relatori pareggiava quello degli spettatori. Possibile che non si sia riusciti a sensibilizzare neppure gli studenti del Conservatorio o di Storia della musica? Insomma uno spettacolo dimenticabile, fatto salvo l’impegno degli esecutori. Sorge spontanea una riflessione: se delle innumerevoli opere liriche scritte dal 1600 ad oggi sopravvive soltanto una quantità esigua nel repertorio corrente, qualcosa vorrà pur dire nei confronti di lavori meritevoli di pensionamento a costo zero. *Scena del primo quadro (fotografia di Priamo Tolu) © |