Ernesta Bittanti una giornalista dimenticata [di Gian Franca Fois]
Nei giorni scorsi è stato presentato a Cagliari, a cura del Fai Sardegna, l’autobiografia di Giulia Maria Crespi, fondatrice e presidente onorario del Fondo Ambiente Italiano. In questa occasione è stato sottolineato il ruolo da lei svolto nelle vicende del Corriere della Sera quando apparteneva alla famiglia Crespi. E’ stata anche l’occasione per ricordare altre giornaliste e direttrici di testate italiane degli ultimi secoli. Da Eleonora Fonseca Pimentel a Cristina Belgioioso, da Matilde Serao a Margherita Sarfatti e a Elena Croce. Tutte donne che hanno portato avanti, come Giulia Maria Crespi, un progetto che è stato contemporaneamente progetto di vita e di lavoro. Un nome, fra gli altri, è però mancato, quello di una donna legata alla città di Cagliari per aver frequentato per due anni nella nostra città il Reale Ginnasio Liceo Dettori di cui il padre Luigi era preside: Ernesta Bittanti che diverrà la moglie del patriota trentino Cesare Battisti. Era nata a Brescia il 5 maggio 1871 ed è stata una delle prime venti donne a conseguire la laurea in Italia. Proprio durante gli anni universitari a Firenze conosce Cesare Battisti e lo sposa nel 1899 trasferendosi con lui a Trento. Durante le riunioni del secondo congresso del Partito Socialista trentino lancia l’idea della pubblicazione di un giornale “Il Popolo”. L’idea fu accolta e nell’aprile del 1900, pochi mesi dopo, iniziarono le pubblicazioni. Ernesta era stata chiara, non si trattava di un foglio di propaganda ma un giornale di idee e programmi. Il direttore era Cesare ma fu proprio lei, nonostante i tre figli che nel frattempo erano nati, la vera anima del giornale con i suoi articoli, la sua opera di correttrice di bozze, ma anche con la sua capacità di affrontare le conseguenti difficoltà economiche in quasi totale solitudine. Il marito infatti era spessissimo lontano per la sua attività sia di geografo sia di deputato al Parlamento di Vienna, senza contare i periodi trascorsi in carcere. Nelle pagine del giornale trovano spazio articoli di scienza e letteratura, politica e cronaca, ma soprattutto temi civili che riguardano la libertà religiosa, la lotta contro il militarismo, l’abolizione della pena di morte, la campagna a favore del divorzio, la questione femminile. In poco tempo il giornale si inserisce in un clima culturale cosmopolita ma nei suoi 14 anni di vita la censura imperialregia lo sequestra 300 volte. Infatti con le sue inchieste precise documenta e denuncia la miseria del proletariato, le carenze igienico-sanitarie, la carenza delle comunicazioni smentendo così la supposta efficienza amministrativa dell’Austria. Le sue pubblicazioni durarono sino alla vigilia della Prima guerra mondiale quando Ernesta fu costretta ad abbandonare Trento per rifugiarsi nel regno d’Italia. Dopo l’esecuzione del marito Ernesta riesce tuttavia a riprendersi, a dedicarsi alla famiglia e a mantenere vivo il ricordo di Cesare Battisti attraverso la pubblicazione delle opere politiche, degli studi geografici, ma soprattutto si dedica a trasmettere agli Italiani i valori e gli ideali per cui era morto. E’ ammirevole la capacità dimostrata da Ernesta Bittanti di tenere insieme la gestione della famiglia e degli affetti con l’attività intensa di giornalista e di animatrice culturale. Ma le sue idee non si fermavano alle parole, diventavano prese di posizione simboliche concrete e importanti, ed anche dopo la morte del marito continuò ad agire e prendere la parola in modo autonomo, coraggioso, sempre coerente pagando spesso di persona. Già quando ancora viveva in Toscana dopo alcuni anni di insegnamento venne radiata da tutte le scuole del regno per la sua aperta professione di laicismo positivista e per la sua partecipazione ad attività politiche. Inoltre prende fermamente posizione dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali: si cuce sul cappotto la stella gialla di David e inoltre fa pubblicare il necrologio per la morte di Augusto Morpurgo, figlio del suo amico Salomone, sul Corriere della Sera (era vietato dalle leggi razziali). Racconta sul suo diario poi pubblicato col titolo Israel-Antisrael l’infamia dell’applicazione di queste leggi attraverso gli occhi di chi non è ebreo ma vuole testimoniare la persecuzione quotidiana degli Ebrei a causa di leggi contrarie ai valori di libertà e uguaglianza, mentre la moltitudine è asservita al regime fascista. Al momento della Repubblica di Salò Ernesta con la sua famiglia si rifugiò in Svizzera, a Lugano. Non smise però di portare avanti la sua battaglia a favore dei più deboli, chiese infatti pubblicamente conto al governo svizzero della chiusura delle frontiere per gli ebrei che cercavano di mettersi in salvo e comunicò che appena possibile avrebbe abbandonato la Svizzera, cosa che fece subito dopo la Liberazione. Dopo la guerra fa vita sempre più ritirata anche se interviene ad esempio nelle polemiche sull’Alto Adige prendendo le parti delle popolazioni alloglotte, a favore delle soluzioni autonomiste e della divisione delle province di Trento e Trieste contro il parere di De Gasperi che era stato collega del marito al parlamento di Vienna, anche se su posizioni diverse. La sua attività cesserà solo con la morte il 6 ottobre 1957. |
Grazie, molto interessante. Non conoscevo la vita di questa donna. Andrò a cercare anche altre fonti.