Copiare e non citare la fonte [di Umberto Cocco]
Un antropologo italiano ha colto in fallo il neo direttore della Stampa, Maurizio Molinari: interi passi di un suo recente libro sul Califfato sono copiati. Ma sarà difficile che un qualunque giornale riferisca il caso. Che sarebbe ghiotto, come quelli che racconta Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, l’ultimo proprio ieri sul figlio dell’ex rettore dell’Università di Messina che ha conquistato la cattedra con evidente plagio dei testi del suo professore. Il critico di Molinari è Nicola Perugini, antropologo dell’Università di Siena, che sia pure con molto garbo rileva le “curiose coincidenze” fra il libro edito da Rizzoli, Il Califfato del terrore (2015), e un best seller americano, The Rise of Isis, di Jay Sekulow (2014). Intere frasi tradotte in italiano e copiate, senza virgolette e senza citazione dell’autore. L’articolo di Perugini è uscito su una rivista di politica, poi lui stesso lo ha riassunto in un suo blog (Il lavoro culturale) e solo recentemente alcuni siti lo hanno ripreso e rilanciato. Nessun giornale, e pour cause: per un giornalista di una certa notorietà, inviato della Stampa a Gerusalemme e – all’uscita del libro – in procinto di diventarne direttore in sostituzione di Calabresi passato a La Repubblica, non è il caso di sottilizzare. Anzi… Il Califfato del terrore è il «libro che in questo momento tutti dovremmo leggere» (Roberto Saviano, sulla sua pagina Facebook e sulla fascetta di copertina); «un libro prezioso che ci aiuta a capire» (Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri, alla presentazione a Roma); «un libro davvero profondo» (Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli Studi di politica internazionale); «una guida importante e carica d’informazioni» (Furio Colombo, Il Fatto Quotidiano). Ma ecco i passaggi «eccessivamente simili» rilevati da Perugini. Scrive Molinari: «L’Islam afferma di essere una religione universale, in grado di coprire ogni aspetto della vita quotidiana, e dunque ha come obiettivo ultimo uno Stato Islamico. Questa idea politica è parte integrante del concetto di umma, secondo il quale tutti i musulmani, ovunque risiedano, sono legati da una fede che trascende i confini geografici, politici, nazionali». E ancora: «Tale legame è la fedeltà ad Allah e al profeta Maometto. Poiché i musulmani credono che Allah abbia rivelato tutte le leggi concernenti questioni religiose e laiche attraverso il Profeta, l’intera umma è governata dalla sharia, la legge divina, applicabile in ogni tempo e luogo perché anch’essa trascende i confini». (pag. 36 e 37 di Il Califfato del terrore). Ed ecco cosa aveva scritto Sekulow (pagine 16-17 di The Rise of Isis): «L’Islam afferma di essere una religione universale. In altre parole, i suoi insegnamenti coprono ogni aspetto della vita quotidiana e ha come obiettivo ultimo la creazione di uno Stato Islamico globale. Questa idea politica dell’Islam è parte integrante del concetto di umma (comunità), secondo il quale tutti i musulmani, ovunque risiedano, sono legati da una fede che trascende i confini geografici, politici, nazionali. Tale legame comune è la fedeltà ad Allah e al profeta Maometto. Poiché i musulmani credono che Allah abbia rivelato tutte le leggi concernenti questioni religiose e laiche attraverso il Profeta Maometto, l’intera umma è governata dalla legge divina, la sharia. La sharia è applicabile in ogni tempo e luogo perché trascende tutte le altre leggi». Prosegue poco più avanti Molinari: «La religione islamica divide il mondo in due sfere: la ‘Casa dell’Islam’, dove il territorio è controllato da musulmani e la sharia viene applicata, e la ‘Casa della guerra’, che include le zone sotto controllo altrui». Sekulow aveva scritto: «Tradizionalmente la religione islamica divide il mondo in due sfere: la ‘Casa dell’Islam’ (dar al Islam) e la ‘Casa della guerra’ (dar al harb). La casa dell’Islam include le nazioni e i territori controllati dai musulmani e dove la sharia è l’autorità suprema. La ‘Casa della guerra’ include le nazioni e i territori sotto controllo dei non-musulmani, non sottomessi alla sharia». Nota Perugini: «Altri passaggi di Sekulow e Molinari sembrano estremamente simili. Poi continuando a leggere ho notato che altri paragrafi sembrano presi da altre fonti senza citarle». Per esempio da un articolo di Alex Marshall uscito sul Guardian del 9 novembre, anche se la citazione si ferma alla parte che serve a descrivere in chiave negativa una tradizione musicale islamica, che il Guardian invece aveva inquadrato storicamente. Ma Perugini non si ferma alle «questioni di ordine metodologico e deontologico». Perché «c’è tutta una serie di questioni di ordine analitico su cui vale la pena di soffermarsi», scrive. «Apro la prima pagina del libro – continua – e guardo la dedica di Molinari: “A Vittorio Dan Segre che era solito dire: Per comprendere il Medio Oriente, evitiamo banalità”». Ma lasciamo parlare l’antropologo, sino alle sue conclusioni, che è difficile non condividere: «Vado a pagina 9 e trovo proprio una serie di banalità di apertura. Forse più che banalità, perché sono frasi che tracciano subito l’orizzonte politico e retorico del libro, incanalandolo subito dentro binari discorsivi precisi. Ecco l’incipit: «Abbiamo i barbari alle porte di casa. Vogliono portare il terrore nelle nostre città, decapitare i passanti, stravolgere la vita di milioni di persone, obbligarci a rinunciare alle libertà civili e precipitarci in un Medioevo sanguinario. A muoverli è l’ideologia della jihad, la volontà di combattere gli “infedeli”, di imporre su ognuno la versione più estrema della sharia, la legge islamica». «I migranti che entrano in Europa vengono dipinti come massa di potenziali reclute dello Stato Islamico – un mare di “lupi solitari” che potrebbero colpire da un momento all’altro. D’altronde l’ossatura argomentativa del libro è abbastanza semplice: lo Stato Islamico è la nuova faccia della brutalità sulla terra, vuole conquistare territorio fino a Roma e siamo tutti in pericolo. Molinari usa la nozione di “jihad totalitaria” e annuncia nell’introduzione che i lettori potranno scoprire questo mostro misterioso «dal di dentro grazie alle testimonianze raccolte fra chi ci vive, chi lo combatte e chi lo costruisce», lasciando intendere che ci saranno fonti di prima mano che aiuteranno a comprendere la sua tesi». «Tuttavia, le fonti di prima mano sono davvero poche. Piuttosto troverete passaggi in cui Molinari fa coincidere non innocentemente Islam e Stato Islamico, al-Qaida e resistenza palestinese. Le imprecisioni e le mistificazioni sono molte». «Molinari rappresenta uno dei pochi inviati in pianta stabile in Medio Oriente dei nostri quotidiani nazionali. Dunque detiene un certo potere di rappresentazione di una realtà molto delicata in questo momento storico. Un potere di verità, potremmo dire». «Il problema sta proprio qui. Rigore metodologico-deontologico e rigore analitico sono inseparabili, anche per chi come Molinari vuole entrare a far parte di quella formazione intellettuale, culturale e politica egemonica che in Italia rischia di mettere in circolo rappresentazioni islamofobe da “scontro di civiltà” che spiegano davvero poco della realtà dei paesi del mondo arabo e islamico, perché con quelle realtà hanno poca aderenza». |