Nel segno della rete [di Stefano Sotgiu]
E’ così che nasce la nuova riforma degli enti locali in Sardegna. La forma organizzativa che più di ogni altro elemento segna il passaggio dalla modernità alla post-modernità contemporanea, entra a pieno titolo nell’ordinamento giuridico regionale e nel discorso pubblico sulle riforme che ha monopolizzato le ultime settimane dell’agenda politica. Reti che fanno perno su un altro cardine dell’organizzazione del territorio italiano, le città medie, colpevolmente dimenticate dalla riforma Delrio, che punta tutto sulle città metropolitane, riproponendo in maniera erronea ed inadatta alla realtà italiana, una forma organizzativa tipica di altre realtà europee e mondiali, oggi – fra l’altro – in forte discussione. Reti che ci fanno pensare le relazioni spaziali, sociali, economiche, politiche in maniera radicalmente differente. La rete non è un’organizzazione gerarchicamente integrata, non ha livelli giustapposti uno sull’altro, non funziona sulla base di un principio di comando che dal vertice arriva alla base. Lo Stato novecentesco ha funzionato in questo modo palesemente messo in crisi dalla dinamicità economica della globalizzazione ma fino ad ora non era giunta alcuna risposta istituzionale convincente rispetto a questa grande sfida. Quello delle reti sarde è il primo vero riscontro di questa matrice che viene fornito nel nostro Paese. Attraverso strumenti normativi di carattere negoziale, infatti, fino ad oggi è stato possibile realizzare “politiche a mezzo di contratti” (L. Bobbio, 2000) ma, tutto sommato, i risultati concreti di questi strumenti volontaristici sono stati assai deludenti. Ora inizia una nuova fase, ricca di opportunità ma anche di rischi, come succede ogni volta nella quale un’innovazione irrompe sulla scena. Le città medie e le reti dovranno trovare riconoscimento statutario e costituzionale ma i vantaggi che possono offrire, se le sapremo far funzionare bene, sono molto maggiori dei punti interrogativi che si portano appresso. Il segno della rete si riconosce in tutta la riforma, non solo nelle nuove forme organizzative che esplicitamente ne portano il nome, le reti metropolitane e quelle urbane. Anche la città metropolitana è una rete, sia pure di carattere differente. Una rete che – diversamente dalle altre – nasce intorno ad un leader territoriale indiscusso, o quasi. Questo la rende un’organizzazione maggiormente connotata da caratteri gerarchici, da procedure decisionali più complesse e lente, qualcosa che potrebbe esserle paradossalmente di freno in una globalizzazione in cui è necessario assumere decisioni rapide, efficaci. Più agile si presenta, invece, la rete metropolitana intorno a Sassari ed Alghero, che nasce come coordinamento di comuni, come unione di municipalità che ruota intorno a due città medie. Questo sulla carta rappresenta un vantaggio in termini di rapidità decisionale, se i comuni del Nord-Ovest lo sapranno sfruttare. Stesso discorso va fatto per le altre forme di rete. La precondizione richiesta è però che la classe dirigente impari a parlare la lingua della rete che è fatta di ascolto, di orizzontalità, di negoziazione, di reciproco aiuto e soccorso nei momenti di crisi, di solidarietà. Ed anche gli Ambiti territoriali strategici, destinati a superare e sostituire le Province nascono dal basso sulla base di una fase di libera negoziazione fra comunità. Se anche a questi sapremo dare forme organizzative agili basate su un coordinamento politico leggero supportato da staff professionali adeguati, avremo un nuovo “attrezzo” istituzionale molto più adeguato alle sfide che ci aspettano. Il senso della riforma, alla fine, è proprio questo. Al cambio di secolo, darci istituzioni più adeguate al mondo contemporaneo, superando attraverso la nostra specialità alcuni palesi errori commessi a livello nazionale. Resta un nodo da sciogliere: quello della democraticità generale di un sistema tutto basato su istituzioni di secondo livello. Una possibile soluzione per superarlo è affidarsi alla democrazia deliberativa, a processi istituzionalizzati di partecipazione diretta dei cittadini che garantiscano ad essi il diritto ad essere ascoltati. *Articolo pubblicato anche su “La Nuova Sardegna” del 2 febbraio 2016 con titolo “Città medie e reti: la riforma rivoluzionaria degli enti locali” |