Corso Vittorio Emanuele. La “scoperta” [di Maria Antonietta Mongiu]

piazza san francesco

L’Unione Sarda 17/02/2016. La città in pillola. Archeologia preventiva per non giocare con ruspe e sottosuolo. Per Erodoto l’archeologia è la narrazione di genti e popoli che spostandosi nel Mediterraneo assunsero altri nomi e abitarono altre geografie. Le traduzioni fondarono nuove identità che non avrebbero smarrito il senso delle origini. Le chiama metonomasiai che, venticinque secoli dopo, Fernand Braudel riconoscerà come radici comuni del mare nostrum.

Conoscerle e tutelarle misura il tasso di considerazione del passato in una comunità e, di conseguenza, il suo progetto di futuro. Mitizzarle è la faccia triste, perché è solo autopromozione, dell’evergetismo; la loro damnatio memoriae un genocidio interposto. La distruzione infatti di manufatti antichi è la metafora della pulsione a uccidere chi le ha realizzate. Il genio italico per questo elaborò precocemente leggi perché, a prescindere dai decisori pro tempore, le memorie fossero in sicurezza e non sgabello del presente, per dirla con Leopardi.

Ecco la ragione delle declinazioni dell’archeologia fino a quella preventiva che campeggia nel sito del Mibact con i suoi protocolli. A leggerli si allarga il cuore perchè parrebbe si sia smesso di giocare a rimpiattino tra sottosuolo e ruspe grazie a norme fondate su principi storici, culturali, etici, e diagnostiche in aree con  preesistenze archeologiche certe. Come sono quelle in cui a Cagliari si sta operando con lavori pubblici.

La domanda al Ministro Franceschini è se in una città di lunga durata, dove ci sono prevedibili stratificazioni millenarie l’archeologia preventiva sia sospesa. La conservazione di qualche brandello nel Corso Vittorio, che è meglio interrare, non assolve dalla sistematica obliterazione delle città sepolte ormai impotenti contro la distruzione delle ruspe, la distrazione di chi deve tutelarle, l’estro dei decisori.

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