Il Marganai non è solo un problema “forestale” [di Nicola Sechi]
I tagli forestali nella foresta del Marganai possono e devono essere visti da altre angolature. Una risorsa quantitativa e qualitativa. Ed oggi sappiamo bene come la quantità sia deficitaria e spesso critica come nei giorni attuali e come vissuto in vari momenti degli ultimi decenni e la qualità del tutto scadente. Cosa da tutti percepibile al rubinetto per le possibili restrizioni e per gli odori e sapori non certo gradevoli e talvolta anche con colore evidente. In realtà i due aspetti della quantità e della qualità sono strettamente legati: al diminuire della quantità corrisponde un ulteriore peggioramento della qualità. Senza entrare nel merito di come l’acqua viene ciclizzata nei bacini idrografici (cicli chiusi o cicli aperti) e di come l’acqua processa l’energia, per la quale è essenziale l’evapotraspirazione vegetale a cui corrisponde una diversa capacità dei suoli di trattenere i materiali, c’è da dire che le perdite di materiali dai bacini idrografici sono tanto maggiori tanto minore è l’entità e l’estensione della vegetazione naturale. In sintesi si possono fissare i seguenti punti universalmente condivisi: La conseguenza concettuale di questo quadro è che: In parole povere se vogliamo più acqua e di adeguata qualità è opportuno: La foresta di Marganai ricade anche all’interno del bacino idrografico del Lago Cixerri dove la grande maggioranza del suo bacino idrografico è del tutto spoglio di vegetazione naturale. Il lago è in pessime condizioni qualitative sia per gli scarichi urbani che per la condizione di “steppa erbacea” massima espressione delle perdite territoriali. Condizione che, basta guardare le carte geografiche e di uso del suolo, riguarda praticamente la maggiore estensione della Sardegna e dei bacini idrografici che alimentano i nostri laghi artificiali. La questione quindi in Sardegna non è al momento, almeno la dove sono presenti corpi idrici come i laghi, l’utilizzazione della foresta, per sacrosanta possa essere, ma la sua espansione e solo dopo che ha raggiunto estensioni compatibili con un assetto ecosistemico funzionalmente adeguato, procedere ad una sua utilizzazione salvaguardando l’erogazione dei servizi ecosistemi di base. Quindi il problema non è forestale ma di pianificazione e gestione territoriale su ampia scala ben diversa da quella attuale e che consenta e riporti quanto meno i bacini idrografici alla normale funzionalità ecologica ed all’erogazione dei dovuti servizi ecosistemici oggi del tutto compromessi. E non si tratta di utopia, data la scala spaziale assai impegnativa, ma di un obiettivo ineludibile anche per contrastare la tendenza alla desertificazione già incipiente sotto l’avanzare delle variazioni climatiche di cui abbiamo già diretta e forte percezione. Variazioni che molto presumibilmente mettono sotto stress i nostri modesti scampoli forestali a cui poi magari si applicano interventi di diradamento che, anche se da ritenersi razionali secondo l’ortodossia scientifica, sono di fatto un’interferenza con possibile stress aggiuntivo dall’esito incerto e comunque negativo ai fini delle risorse idriche. A questo deve poi corrispondere la risoluzione del problema degli scarichi urbani ancora del tutto eluso: è abbastanza inconcepibile che ancora non sussista una loro adeguata depurazione ed un riciclaggio diverso o meglio obbligatorio. *Professore di Ecologia. Direttore del Dipartimento di Architettura, Design ed Urbanistica dell’Università di Sassari |