Parliamo del Mediterraneo e di molte altre cose [di Gianfranca Fois]

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L’incontro organizzato nei giorni scorsi dalla Presidenza regionale FAI Sardegna, la Comunità La Collina, l’Associazione Lamas, la rivista Sardegnasoprattutto e il FAI giovani di Cagliari e con il patrocinio del Comando Supporto Logistico Marina Militare di Cagliari dal titolo “Il Mediterraneo un ponte tra popoli” ha affrontato un tema di stringente attualità, offrendo interessanti e numerosi spunti di riflessione.

Vorrei aggiungerne qualcuno. La realtà in cui viviamo e in cui ci muoviamo sta cambiando in modo sempre più veloce, questa situazione ci costringe perciò a stare attenti, nell’analisi e negli studi, a non utilizzare categorie costruite a priori e che ormai poco si adattano alla realtà che ci circonda proprio perché nel frattempo è cambiata.

Il geografo Joel Kotkin sostiene ad esempio che i confini del mondo non vengono più decisi dalla politica, ma ritiene che nel nostro tempo ci sia una rinascita di legami tribali che creano reti di alleanze globali complesse e l’umanità risulta divisa in nuovi gruppi in divenire a seconda della storia, della religione, del gruppo etnico e della cultura.

E questo avviene sia all’interno degli Stati, dove ad esempio le metropoli Londra e Parigi hanno interessi diversi rispetto ad altre parti o province dei propri paesi, sia all’esterno dove ad esempio l’Italia appartiene alle Repubbliche dell’olivo insieme ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo, unite da affinità storico- culturali, un continente diverso rispetto al resto d’Europa.

Un continente che si protende attraverso il Mar Mediterraneo, luogo fisico ma anche simbolico, verso i paesi nordafricani. Il Mediterraneo, vasta distesa d’acqua in continuo movimento, limite ma anche tramite tra Nord e Sud, tra Oriente e Occidente, crocevia di tre continenti. Oggi è il luogo della differenza e del contatto, della resistenza e del rifiuto, del pluralismo di voci, storie, modi d’essere che si uniscono in forme diverse cercando di creare, con fatica, reti e pratiche innovative, forme di una visione comune del Mediterraneo, e alla politica limitata del soggetto/occhio contrappone la politica della ricezione e dell’ascolto, per usare una bella espressione di Iain Chambers.

Viene ancora difficile per le persone comuni ma spesso anche per gli studiosi o per le istituzioni superare il significato di Mediterraneo che si è affermato durante il periodo della colonizzazione (una delle sue ultime rappresentazioni che si sono stratificate nel tempo e nella cultura) che ancora condiziona e che propone stereotipi e luoghi comuni ma è essenziale farlo se si vogliono affrontare i numerosi problemi di quest’area senza errori grossolani o rigidezze ideologiche.

E’ necessario infatti rilanciare quel significato che gli diede Isidoro di Siviglia quando rese l’aggettivo latino mediterraneus un nome proprio, e cioè tutto quell’insieme di storia e di affinità che unisce donne e uomini che la sorte ha messo a vivere sulle sue sponde e che punta all’inclusione e non all’esclusione, col compito di segnare il discrimen, luogo di separazione ma soprattutto di incontro e di contatto.

E forse non è un caso che proprio su entrambe le sponde del Mediterraneo stiano nascendo, seppur tra difficoltà, contraddizioni e quasi ignorati dall’informazione, modi di resistenza contro la corruzione e l’appropriazione delle risorse da parte di pochi, tentativi di nuove forme di collaborazione, di organizzazione, di solidarietà, di riappropriazione di spazi pubblici ma soprattutto lotta contro logiche economiche e finanziarie che rischiano di distruggerci.

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