Eco a Firenze [di Franco Masala]

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Firenze si riprendeva faticosamente ma anche rapidamente dai danni dell’alluvione del 4 novembre 1966 quando nel marzo dell’anno seguente un giovane professore, già aureolato dalla fama di un testo fondamentale come Apocalittici e integrati (1964), approdava alla Facoltà di Architettura per l’insegnamento di Decorazione.

Era questa una materia complementare che veniva riempita, a seconda dei docenti, di contenuti diversi. Con Eco fu tutt’altra storia grazie a un corso di Semiologia della comunicazione visiva da cui poi sarebbe nato il testo edito da Bompiani nello stesso 1967. La capacità di affabulazione del professore correva per l’aula, rapidamente colma di studenti ma anche di persone che seguivano i suoi ragionamenti per puro diletto. E rimangono indimenticabili i modi piani nel porgere problemi e concetti, e la naturalezza con la quale dai quesiti estetici Eco spaziava a connessioni apparentemente lontane ma tali da diventare logiche e coerenti.

Che dire poi della “mozione Ricci-Eco” che in piena agitazione studentesca del Sessantotto dichiarò la necessità di riconoscere uno spazio aperto – leggi assemblea generale – dove potesse “svolgersi un confronto paritetico delle varie categorie interessate alla didattica e alla ricerca, professori, assistenti e studenti”?

Stagioni feconde di entusiasmi e di rinnovamento che vedevano il giovane assistente Andrea Branzi (Archizoom) guidare un gruppo di studenti di Disegno II alla progettazione di un Piper come spazio di aggregazione giovanile; oppure Giovanni Klaus König fare un corso monografico sull’architettura dell’Espressionismo tedesco mentre il Living Theatre teneva performances allo Space Electronic e il Maggio Musicale Fiorentino ospitava una sfilata di mostri sacri quali Karajan, Bernstein, Giulini, Muench e Abbado per ricordare il centenario della nascita di Arturo Toscanini.

Anni indimenticabili di formazione approdati poi alla spettacolare mostra di sculture di Henry Moore al Forte di Belvedere, aperto di notte per la prima volta. Pazienza se il quotidiano locale ribolliva attraverso le lettere dei benpensanti che protestavano “Cosa deve vedere il povero Brunelleschi …”. Frattanto Eco era andato via per continuare altrove la sua trionfale carriera.

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