Il rifugiato del Paradiso [di Tobia Bassanelli]

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Corritalia.de – Corriere d’Italia. Rotocalco settimanale in Europa. Questo mese di marzo, assieme all’inizio della primavera e conseguente risveglio della natura dal letargo invernale, ci porta pochi giorni dopo, domenica 27, la grande festa cristiana della Pasqua, che dovrebbe segnare il risveglio dal letargo spirituale.

Le radici di questa celebrazione affondano nella storia del popolo di Israele, quando, schiavo in Egitto, oltre mille anni prima di Cristo, sognava, come ogni popolo oppresso, la libertà. Libertà che un giorno arrivò, grazie a Mosè ed alla sua fede in un Dio che libera da ogni forma di schiavitù. Fu pagata a caro prezzo: con un lungo vagabondare nel deserto per sfuggire a nuove schiavitù, concluso con l’insediamento in un proprio territorio, la Palestina.

Per celebrare il grande avvenimento, fu istituita la Festa della Liberazione, la Pasqua, in ebraico Pesach, in ricordo del passaggio dalla schiavitù alla libertà. La Pasqua cristiana, derivata da quella ebraica, ricorda pure un passaggio: quello di Gesù dalla morte alla vita, dalla morte in croce alla vita nuova della risurrezione. In parole più semplici: la sua violenta cacciata dalla terra ed il rifugio trovato presso Dio; la sua espulsione da questo mondo e l’accoglienza in quello divino, in quello che chiamiamo paradiso. Dove non ci sono tetti all’accoglienza e per fortuna c’è posto per tutti.

Si era proclamato figlio di Dio, oriundo del cielo? Che tornasse a casa sua, qui disturbava troppo il quieto vivere degli ambienti benestanti. Non era persona gradita: senza casa, senza un lavoro, frequentatore di persone poco raccomandabili, dipendente dalla carità degli amici. I poteri politici e religiosi lo hanno espulso prima fuori dalla città, e poi sul Calvario fuori da questo mondo, in compagnia due ladroni. Eppure pochi giorni prima, all’arrivo in città per il suo terzo pellegrinaggio a Gerusalemme, la popolazione gli aveva riservato una festosa accoglienza, con battimani e sventolio di palme, in segno di benvenuto e di gioia. Come cambia in fretta l’umore della gente!

La storia si ripete. Difficile dimenticare l’entusiasmo con cui nei mesi estivi, alla stazione di Monaco di Baviera, migliaia di persone hanno fatto festa ai primi treni stracolmi di rifugiati. Tutti ad applaudire, a offrire qualcosa, ad aiutare. Era la festa dell’accoglienza, il plauso alla scelta umanitaria. Lo scenario poi è lentamente e drasticamente cambiato. I continui arrivi, l’utilizzo perfino degli Sporthalle e di altri edifici pubblici per dare un tetto, facevano toccare con mano alla popolazione i disagi connessi con flussi imprevisti e massicci. Nei giorni scorsi qualcuno batteva le mani davanti ad una casa incendiata perché destinata ai rifugiati. Altri hanno cercato di fermare un bus per impedire loro di arrivare a destinazione. Nello scorso anno sono stati registrati in Germania 1027 attacchi alle abitazioni dei rifugiati.

Un termometro per misurare gli umori, sono gli eventi elettorali. Le comunali di domenica 6 marzo in Assia hanno scombussolato gli equilibri politici, portando al terzo posto la AfD (oltre il 13% dei voti), il partito antiasilanti. Domenica 13 marzo ci sono le elezioni in tre regioni: nel Baden-Württemberg, nel Sachsen-Anhalt, nella Renania Palatinato.

Tutti i sondaggi prevedono una nuova rilevante affermazione delle destre xenofobe, in particolare della AfD (Alternative für Deutschland), il cui ingresso nei parlamenti regionali di Mainz, Stoccarda e Magdeburg viene dato per certo, dopo l’ingresso nei parlamenti comunali di grosse città come Francoforte e Wiesbaden. È in grande difficoltà invece la Cdu della cancelliera Merkel, che, fedele alla scelta umanitaria ed al dettato costituzionale, è contraria a fissare dei tetti all’accoglienza, punta ad una soluzione europea, si è impegnata in interventi politici ed economici per incidere sulle cause dei flussi migratori, sfidando gli umori del suo stesso partito, non solo dell’opinione pubblica, in grande maggioranza contraria alla sua politica sui rifugiati.

Dalla scorsa estate, questa emergenza è di gran lunga il tema predominante: nei notiziari radiofonici, nei dibattiti televisivi, nelle prime pagine dei giornali, negli incontri dei partiti, nei discorsi della gente. Anche la Conferenza Episcopale tedesca vi ha dedicato una giornata di studio durante la sua recente Assemblea plenaria (15-18 febbraio, al Kloster Schöntal), conclusa con il varo di un documento di linee operative nel settore. Tra il relatori della giornata il card. Montenegro, il noto vescovo di Lampedusa. Non è un problema di facile soluzione.

Né va scaricato su un solo Paese, come si è fatto per anni con l’Italia, come avviene ora con la Grecia, o come si vorrebbe fare con la Germania, che sta accogliendo anche tanti connazionali, in Italia senza chances. L’UE si è spaccata proprio su questo problema e sta rischiando il suo stesso futuro. Interverrà con altri 700 milioni in tre anni, ma arriva col solito ritardo e senza la necessaria tempestività esecutiva.

Un tema complesso, per la cui soluzione occorre operare su più fronti, evitando le semplificazioni e le scorciatoie dei vari populismi, che pensano di risolverlo con muri e filo spinato, fingendo di non sapere che ci pensa poi la realtà a farli cadere. Bisogna invece spegnere i focolai di guerra e di povertà, ripristinare la solidarietà tra gli Stati UE, creare corridoi umanitari per regolare i flussi, anche per sottrarli agli scafisti ed ai trafficanti di esseri umani. Tanti fronti operativi comportano tempi lunghi. Il che non aiuta le forze sociali e politiche più responsabili, né esorcizza subito le paure di ampi strati popolari, che si sentono minacciati da presenze con tradizioni e culture completamente diverse.

Istintive paure che non vanno criminalizzate, ma neanche alimentate o amplificate come fanno le destre. Vanno prese sul serio e gestite con saggezza, con argomentazioni adeguate, sottolineando per esempio, oltre al dovere morale della scelta umanitaria ed all’alto valore della solidarietà, gli aspetti positivi di questi arrivi. Vengono visti da molti come un peso. Sono al contrario, in aggiunta all’arricchimento culturale, un vantaggio economico, un grosso investimento.

Ci si chieda: quanti posti di lavoro hanno creato? Negli uffici comunali, nelle amministrazioni pubbliche, nelle scuole, in tantissime ditte, grazie alle commissioni per adattare o costruire nuovi alloggi, procurare indumenti e cibo, e tutto il necessario per vivere.Difficile quantificare l’indotto, ma il milione di persone arrivate l’anno scorso in Germania sono di sicuro un fattore importante se non determinante del rilancio occupazionale ed economico della Germania.

Le migrazioni sono sempre state un aiuto. Per i credenti di fede cristiana, vivere la Pasqua anche sotto questa angolatura, quella dell’espulso che trova rifugio in paradiso – da dove aiuta molto di più che in altre forme – è un modo nuovo, non tradizionale, forse poco ortodosso ma certo consono a questo momento storico segnato dalla sfida epocale di fughe in massa dalla violenza, dalle guerre, dalle persecuzioni.

Anche poco liturgico, ma forse più vicino alla vita quotidiana delle persone in cerca di motivazioni per l’accoglienza, di stimoli per l’opzione umanitaria. È troppo auspicare una Pasqua che aiuti il passaggio dal rifiuto all’accoglienza, dall’esclusione alla solidarietà, dall’egoismo alla condivisione, dalla paura del diverso alla gioia dell’incontro? È questa la Pasqua – sia pure con un po’ di anticipo – che auguriamo all’Europa

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