In principio fu “Se puede”[di Raffaele Deidda]
Congedandosi dai cubani, Barack Obama ha ribadito la volonta degli Usa di riprendere relazioni con Cuba, rimuovendo l’embargo voluto da John Kennedy nel 1961: “Possiamo fare questo viaggio insieme, da amici, da vicini, da famiglie”, e in spagnolo “Si, se puede” traduzione di “Yes we can”, slogan nelle sue campagne presidenziali. La versione spagnola ebbe il compito di conquistare il voto dei “latinos” con la promessa della Riforma Migratoria. Non era originale. “Si, Se Puede” era il motto della lotta degli anni ‘70 condotta dall’United Farm Worker, sindacato dei braccianti “latinos” fondato da Dolores Huerta, insignita da Obama della Presidential Medal of Freedom. Obama a Cuba ha detto che bisogna dimenticare il passato e guardare al futuro con speranza. Volentieri – hanno commentato i cubani- purchè non si cerchi di cancellare la memoria storica e, soprattutto, lo sostengono le madri della Plaza de Mayo in Argentina, seconda tappa del viaggio di Obama in America Latina: no all’oblio, si alla giustizia. In Italia è recente “Yes we can” “de noantri”. Reduce dal kennediano I care l’allora segretario del Pd, Walter Veltroni lo ha fatto suo nel 2008, con la maldestra traduzione “Possiamo vincere”. Il Pd, da solo, (poi alleato con l’Italia dei Valori e con candidati dei Radicali nel Pd) contro la Casa della Libertà, per uscire da “un bipolarismo rissoso e coatto”. Con Berlusconi l’Innominato o “Il principale esponente dello schieramento a noi avverso”. Sappiamo come finì. Da primo segretario del Pd Veltroni suscitò aspettative e speranze e, alle Politiche del 2008, guadagnò il 33% dei voti. Non sufficiente. Berlusconi vinse e andò al governo con una maggioranza corposa. Furono “dolores” per chi aveva creduto nel progetto del Pd, convinto che si sarebbe comunque caratterizzato a sinistra. Più forti dolori arrivarono dalle Regionali in Sardegna. Clamorose la vittoria di Ugo Cappellacci su Renato Soru e le dimissioni di Veltroni il 17 febbraio 2009: “Mi assumo le responsabilità mie e non. Basta farsi del male, mi dimetto per salvare il progetto al quale ho sempre creduto. Non è il partito che sognavo. Ce l’ho messa tutta ma non ce l’ho fatta. Chiedo scusa”. Dario Franceschini, formazione e passato democristiano, divenne il nuovo segretario. Altri dolori per il “popolo della sinistra” che aveva accettato con molti mugugni il progetto politico del Pd. Il resto è attualità. A Franceschini succedette Pierluigi Bersani. Portò il Pd alle elezioni del 2013 con la coalizione Italia Bene Comune: liste del Pd, con candidati del Partito Socialista Italiano, Sel e Centro Democratico. Altri dolori. Ancora si discute in Sardegna dell’imposizione nelle liste del Pd sardo, consenzienti i dirigenti locali, del socialista pugliese Lello Di Gioia che alla Camera subito lasciò il gruppo del Pd per il Gruppo Misto. Ancora si ironizza sulle sue volontà programmatiche di lavorare per la Sardegna e prendere casa a Cagliari per seguire i problemi dell’isola. Bersani si dimise nell’aprile 2013 e, dopo Guglielmo Epifani, il 15 dicembre arrivò alla guida del Pd Matteo Renzi che sfiduciò, nel febbraio 2014,Enrico Letta, determinandone le dimissioni con una mozione nella Direzione Nazionale del Pd e ricevendo l’incarico da Giorgio Napolitano di formare un Governo di larghe intese. L’ha formato, eccome! Con ministri e sottosegretari del PD, Nuovo Centrodestra, Unione di Centro, Scelta Civica, Centro Democratico e altri. Non bastasse, il berlusconiano Verdini oggi ritiene col gruppo “Ala” di far parte della maggioranza renziana avendo votato la fiducia sulle unioni civili. Ma si può? Verdini condannato a due anni per corruzione e indagato per truffa. Yes we can, sostiene Renzi che ironizza: “Conosco un metodo infallibile per non avere Alfano e Verdini in maggioranza: vincere le elezioni, cosa che nel 2013 non è accaduta”. Quindi Alfano e Verdini si tengono, formano col Pd un governo eccezionale. Altro che la splendida solitudine di governo Pd ipotizzata da Veltroni nel 2008! E poi basta con gli slogan esterofili. Meglio hashtag-tormentoni che trasmettono fiducia e galvanizzano gli elettori. Quindi valanghe #lasvoltabuona, di #italiariparte, di #italiacambiaverso e mille altri nati e morti nell’arco di un soffio ma utili a comunicare l’incommensurabile premier. Che dichiara di guidare il paese con provvedimenti di sinistra, mica di destra fra cui “voler abbassare le tasse” e gli 80 euro. La domanda cruciale è: il Pd si può considerare ancora un partito almeno di centrosinistra se non di sinistra? Ma certo che “se puede”! Lo sostiene la fedelissima corte, compresa quella sarda, mentre gli alleati di centrodestra a cui questa strana “sinistra” di Renzi non dispiace affatto sorridono.
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