La “controriforma” dei Beni culturali [di Vittorio Emiliani]
La “controriforma” dei Beni culturali [di Vittorio Emiliani] Critica Marxista, 1, 2016. Avanti che il governo Renzi mettesse mano, prima col ministro Dario Franceschini e poi con la ministra Madia, a tutta una serie di “riforme” che investono in pieno il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si pensava che quel corpo stremato e indebolito dai ripetuti tagli di risorse andasse anzitutto rivitalizzato subito con un piano graduale che prevedesse:
Agli Uffizi, dove tanto si era prodigato in condizioni decisamente difficili Antonio Natali, il suo successore Eike Schmidt, un esperto di scultura, arti applicate e tessili (del Minnesota), ha enunciato due linee strategiche: accrescere le aree museali da affittare per eventi commerciali e “abbattere le code e le attese troppo lunghe“. Come? Non si sa. Poi, per la verità, è tornato sui suoi passi negando di voler concedere spazi museali agli “eventi” commerciali, semmai grandi terrazze (Loggia dei Mercanti, Boboli, ecc.). A Paestum è andato un giovane tecnico svizzero il quale per primo dichiara di non avere alcuna esperienza gestionale e che ora però si è messo alla testa della lotta agli abusivi riconfermando con ciò l’indissolubile legame fra musei, siti archeologici e territorio, l’unitarietà di tutela e valorizzazione. A Taranto Museo mirabile della Magna Grecia una archeologa del Medio Evo. A Napoli straordinario Museo della classicità greco-romana un etruscologo dalla bibliografia disarmante per pochezza e a Caserta, la “Versailles italiana“, un laureato in marketing con due pubblicazioni sui…cimiteri monumentali. Come non avvertire un qualche profumo di antiche spartizioni “politiche“? Tutti messi a capo di strutture con pochi custodi demotivati e con ancor meno tecnici. Per cui il Mibact nei giorni scorsi ha avuto l’idea geniale di allestire – “alla chetichella” secondo il coordinatore toscano del sindacato Confsal Unsa Learco Nencetti – un helpdesk, una sorta di Telefono Amico “esclusivo” che soccorrerà i supermanager in tutte le materie strategiche: bilancio, personale, spesa, valorizzazione e tutela, prestiti per mostre, sponsorizzazioni e erogazioni liberali ecc. ecc. Qualcuno si chiede: ma sono davvero supermanager esperti della materia? Anche quelli già in carica, come Anna Coliva alla Galleria Borghese (unico funzionario del Mibact confermato alla guida di un grande museo) hanno dovuto constatare che la nuova situazione non crea miracoli, che i soldi per ora sono pochi, come i custodi disponibili, per cui la stessa Galleria Borghese, affollata di prenotazioni, ha dovuto chiudere alcune sale. In realtà questi 20 superdirettori retribuiti con 145.000 euro lordi all’anno contro i circa 35.000 lordi dei loro predecessori agli Uffizi, a Caserta o a Brera – come del resto le decine di direttori (assai meno remunerati) andati ai musei non autonomi e ai Poli museali – si devono essere accorti che la cura radicale cui è stato sottoposto il vecchio nobile malnutrito, debilitato destriero dei Beni culturali lo sfianca e confonde non poco. Essa prevede che le Soprintendenze, le quali spesso gestivano direttamente Musei e Pinacoteche, si tengano le loro sedi e, quando possono, il loro personale tecnico-amministrativo, i loro, per quanto antiquati computer, i loro archivi, inclusi quelli fotografici, ecc. E ai Musei cosa va? Maggiori fondi, ma quando? C’è stato inoltre un certo travaso di tecnici, per esempio di storici dell’arte (già rari), ai musei, magari archeologici, per cui nella Soprintendenza accorpata Belle Arti e Paesaggio sono rimasti soltanto architetti (pochi pure loro). E’ successo che ad una importante Soprintendenza sia stata chiesta l’expertise su una certa pala d’altare e che nessuno fosse in grado di esaudire la richiesta. Da tempo in certe Soprintendenze, per carenza di personale, lo stesso Ufficio all’Esportazione ha funzionato a scartamento ridotto o rimane chiuso per giorni fra le proteste degli spedizionieri. Figuriamoci ora. Intanto i direttori dei Poli museali dovrebbero correre come disperati per la regione con stipendi insufficienti e senza i rimborsi (almeno teorici) per le trasferte previsti fino a che erano nei ranghi della Soprintendenza. E va malissimo anche a quei funzionari divenuti direttori di musei o siti diversi in città o cittadine differenti. Stipendio medio: 1.650 euro al mese. Ancor più problemi pone ovviamente nella gestione dei musei archeologici la scissione fra museo e territorio che in questo caso è l’area di scavo con cui sono stati sin qui, logicamente, un tutt’uno. Guai molto pesanti provoca la separazione dei musei, parlo ovviamente di quelli archeologici, dalla Soprintendenza. Infatti musei nazionali, a parte quelli di tradizione ottocentesca che hanno raccolto vecchie collezioni, come quelle borboniche, nella prevalenza dei casi sono strettamente legati al territorio, sono di formazione recente ed hanno saputo coniugare e promuovere tutela, conoscenza, promozione costituendo veri presidi permanenti sul territorio. La riforma Franceschini però altera o sconvolge gli equilibri di questo rapporto virtuoso e condanna alla impotenza le Soprintendenze e alla staticità i musei archeologici privandoli dell’apporto continuo di nuovi restauri e nuovi scavi. La separazione tra magazzini e musei, tra nuove acquisizioni di materiali provenienti dalla ricerca e nuovi progetti espositivi, causerà problemi a non finire. Al vertice del Ministero evidentemente ignorano che l’intensa attività di tutela degli ultimi decenni per fronteggiare l’espansione edilizia speculativa, opere pubbliche fortemente invasive e distruttive ha determinato l’accumulo di quantità impressionanti di materiali di grande interesse, ma tuttora da schedare, da conoscere. I rischi sono facilmente intuibili, aggravati dall’ormai vicino pensionamento di molti validi funzionari tecnici, privati di riconoscimenti e impossibilitati a trasferire ad altri le loro conoscenze. Archivi umani che saranno persi a breve. Il personale al momento appare disorientato, stanco, spaventato, spesso anche con l’angoscia di possibili trasferimenti paventati volutamente dalle strumentali propagande di alcuni gruppi interni. In Calabria, musei prestigiosi e lontani come Sibari con relativo parco archeologico e Vibo Valentia con il parco di Ipponion verrebbero assegnati in modo analogo allo stesso funzionario. In Puglia il medesimo funzionario dovrebbe curare l’importante museo di Manfredonia nel Foggiano, noto per le sue stele daune e per le presenze pre-protostoriche, e contemporaneamente l’altro importante museo di Gioia del Colle posto all’interno del castello federiciano e con annesso parco archeologico. Nel Lazio sono state sospese le nomine dei direttori di musei archeologici importanti come Palestrina e Civitavecchia. Ci si rende conto al Collegio Romano che il sistema non funziona? Non ci voleva molto a capirlo. Per ora si divide il poco personale smarrito, stanco e sfiduciato tra uffici del polo e direzione della Soprintendenza archeologia. I magazzini-deposito perdono i punti di riferimento conoscitivo. Le risorse finanziarie già ridotte, prima condivise, devono essere ripartite tra gli uffici. Gli archivi storici delle Soprintendenze, come quelli fotografici e documentari, sono contesi tra i dirigenti e rischiano una pericolosa frammentazione che somiglia e si avvicina molto alla loro distruzione. Il personale tecnico-amministrativo, ormai anziano, frustrato da anni di politiche che sovente hanno mortificato il merito e premiato le clientele, rischia l’implosione. E di conseguenza, tutto il sistema della tutela pazientemente costruito negli anni, sostenuto dalla passione e dalla generosa attenzione di tanti funzionari, si appresta a scomparire. Contemporaneamente, le numerose Università italiane che hanno prodotto laureati in Lettere Classiche o Beni Culturali vedono con grande mortificazione la fuga all’estero dei loro prodotti migliori o, in alternativa, la loro utilizzazione in lavori che non richiedono necessariamente un percorso di studi universitari. Le nuove piante organiche non sembrano destinate a risolvere il problema neanche in prospettiva, visto che le dotazioni delle Soprintendenze restano enormemente al di sotto delle necessità effettive e a poco potrà valere, sempre se verrà messo in pratica, l’annunciato concorso per 500 posti per funzionari tecnici. Esso probabilmente coprirà a malapena i pensionamenti. Mentre i 150 milioni in più promessi per il 2016 con la legge di stabilità riportano, sì e no, il bilancio del Mibact ai livelli già depressi del 2008-2009 recuperando un po’ di più dell’inflazione. Comunque denari benvenuti dopo anni di tagli (sempre che la legge di stabilità regga sino alla fine). Ma veniamo al territorio, al paesaggio. La riforma, pur sollevando le Soprintendenze dalla gestione dei siti museali e monumentali assegnati ai poli regionali, prevede il raddoppio delle competenze su tutti i territori (tutela architettonica e paesaggistica + storico artistica e etnoantropologica). In alcuni casi particolari tale raddoppio è ulteriormente aggravato dalla ridefinizione territoriale: in Calabria sono stati accorpati i territori, quindi il carico di lavoro nel settore della tutela tende a quadruplicarsi, mentre la nuova Soprintendenza unica dell’Aquila, pur relativa ad un territorio limitato, assomma anche le competenze della tutela archeologica e quelle di stazione appaltante della ricostruzione post-sisma, in un ambito territoriale in cui si concentrano criticità e complessità enormi, che ad oggi vengono gestite con pochissime unità di personale tecnico (ad oggi solo 8 architetti, 2 storici dell’arte e 2 archeologi di altro istituto in collaborazione temporanea…in attesa dei nuovi organici). Il potere salvifico della (pur doverosa) informatizzazione e modernizzazione degli uffici con la costituzione di sistemi di banche dati non basterà, laddove si stanno perdendo competenze, esperienze e saperi specifici per i quali non viene previsto un ricambio né tantomeno un adeguato percorso di affiancamento tra nuovi assunti e funzionari anziani. Ma quale sarà l’impatto che deriverà – sugli uffici così indeboliti e, ovviamente, sull’intero sistema della tutela sul territorio – dalla progressiva attuazione delle novità normative introdotte dal governo negli ultimi 18 mesi in ordine alle grandi opere e all’edilizia residenziale e non residenziale? Primo: è stata anzitutto concessa alle amministrazioni la possibilità di richiedere il riesame di tutti i pareri rilasciati, attraverso l’operato delle commissioni regionali (introdotto dal decreto art bonus e definitivamente reso operativo dalla riforma Mibact di cui al DPCM 171/2014 e successivi decreti attuativi. Secondo: le disposizioni contenute nella legge Madia e i suoi primi decreti attuativi del 25 gennaio 2016 hanno confermato che la “velocizzazione” dei pareri, la semplificazione delle procedure producono effetti sciagurati, a partire dal famigerato silenzio/assenso che il governo Renzi ha esteso per la prima volta (dopo anni in cui la sinistra si opponeva fieramente e con successo ad analoghi tentativi da parte dei governi di centro destra) alla materia dei beni culturali e del paesaggio. Terzo: le modifiche delle norme sul funzionamento della conferenza dei servizi, già introdotte, col decreto Sblocca Italia per alcune categorie di interventi e rese permanenti ed estese con la legge Madia. In tal modo si istituisce una sorta di livello superiore decisionale quando permangano diversità di vedute nei pareri degli enti preposti alla tutela e delle amministrazioni locali. Esaminiamoli nel dettaglio. Ecco che allora la commissione regionale, composta dai dirigenti Mibact della regione, può ricevere la richiesta di pubbliche amministrazioni di riesaminare qualunque parere o atto emanato dalle Soprintendenze entro 3 giorni dal ricevimento. La commissione deve esprimersi entro 10 giorni. Considerando che la riforma attribuisce alla commissione gran parte dei compiti che prima spettavano al direttore regionale (conclusione dei procedimenti) e che per questo la commissione deve naturalmente prevedere riunioni molto frequenti, è evidente che gli obblighi connessi al riesame dei pareri richiederebbero convocazioni ravvicinatissime, con carico di lavoro soprattutto per i dirigenti che operano in città diverse (e costi di missioni). Quindi: un ufficio lavora per settimane o mesi per produrre un parere o un atto (p.es. un vincolo), il Soprintendente lo firma e lo inoltra alla commissione per l’emanazione del provvedimento finale, la commissione si riunisce, lo approva ed emana il decreto, il comune lo riceve e entro tre giorni chiede il riesame, la commissione deve nuovamente riunirsi entro dieci giorni per valutare la richiesta e confermare o sconfessare se stessa ed emanare di nuovo l’atto (uguale o modificato). Tutto ciò moltiplicato per tutti in pareri o atti che possono risultare in contrasto con le volontà delle amministrazioni locali. Il silenzio assenso della legge Madia, operativo dallo scorso mese di agosto, si riferisce ai soli pareri “endoprocedimentali“, cioè quelli in cui gli uffici Mibact sono chiamati ad esprimersi nell’ambito di procedure tutte in capo alle amministrazioni locali. Salvo pochi casi (cartelli pubblicitari o occupazioni di suolo pubblico nei centri storici) esse riguardano essenzialmente la tutela paesaggistica e comprendono (attenzione!) tutte le procedure che pervengono ai Comuni da parte dei privati e che i Comuni trasmettono alle Soprintendenze per il nulla osta. Quindi si tratta di un silenzio/assenso che non mira, come si è detto, a semplificare e velocizzare i rapporti tra amministrazioni, ma di fatto apre un percorso preferenziale agli interessi dei privati. Non basta. Infatti le autorizzazioni paesaggistiche “ordinarie” – quelle dei cittadini che correttamente presentano i progetti e chiedono il previsto nulla osta prima di costruire – già godono di una forma di silenzio/assenso, addirittura più “conveniente”, visto che il codice prevede che se la Soprintendenza non si esprime, già al 60° giorno il Comune può procedere autonomamente. V’è di più e di peggio. La nuova norma risulterebbe avvantaggiare realmente, con un automatismo difficile da controllare, soltanto coloro che devono/vogliono regolarizzare una illegittimità che prima d’ora poteva essere sanata unicamente con un espresso parere positivo della Soprintendenza. Nessuna abdicazione alla tutela, è stato detto, ma solo la previsione che la tutela venga esercitata in tempi certi e rapidi, ma perché ciò viene introdotto proprio per i reati edilizi? E quale rapidità si può ragionevolmente invocare da uffici ridotti ai minimi termini, sepolti sotto montagne di pratiche molto complesse che richiedono ricerche e sopralluoghi, normalmente 5-10 pratiche a testa per giorno lavorativo, addirittura 79 pratiche al giorno (parola dell’ex direttore generale Roberto Cecchi) alla Soprintendenza di Milano? Le norme della legge Madia prevedono anche un “estremo appello“, se tutti gli espedienti dei punti precedenti dovessero fallire e/o trovare una Soprintendenza “pronta ed efficiente” e una commissione compatta del difendere i pareri espressi: è il passaggio che prevede, in caso di mancato accordo tra amministrazioni statali, l’intervento del Presidente del Consiglio – su deliberazione del Consiglio dei Ministri – nel definire le modifiche al provvedimento. Infine, le nuove norme in materia di conferenza dei servizi prevedono la partecipazione di una sola figura in rappresentanza di tutti gli uffici statali. E’ ovvio che tale unificazione in un solo rappresentante riduce ad uno anche il peso di un eventuale voto nella conferenza dei servizi. Qui emerge una evidente anticipazione del previsto progetto (riforma Madia della P.A.) di unificare sotto le Prefetture tutti gli uffici delle amministrazione statali sul territorio, a partire dalle Soprintendenze. Una proposta storicamente e culturalmente scandalosa, una regressione complessiva mai vista a ben prima delle leggi della Repubblica (articolo 9) e seguenti, a ben prima delle stesse leggi bottaiane del 1939, per non parlare di quelle giolittiane. Le Soprintendenze come Sottoprefetture alla antica e autoritaria maniera sabauda. E pensare che la rete delle nostra tutela era ammirata e “copiata” da altre importanti Nazioni. Dunque, le disposizioni della legge Madia, presentate come norme moderne volte a perseguire obiettivi di semplificazione e velocizzazione delle procedure amministrative per garantire “il diritto dei cittadini ad avere risposte certe nei tempi previsti dalla legge” e “costringere le amministrazioni a prendersi la responsabilità delle proprie decisioni”, in realtà per quanto attiene al campo dei beni culturali e paesaggistici finiscono per agevolare quegli interventi realizzati (più da soggetti privati che da amministrazioni pubbliche) in aree tutelate in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica. Situazioni di illegittimità che a volte finora non sarebbero neanche sanabili per legge. Allarme “rosso“. Si pensi che fra 1996 e 2005, cioè prima dell’ultima lunga recessione, i Comuni hanno autorizzato bel 3,2 miliardi di metri cubi di nuova edilizia, con consumi pazzeschi di suoli e di paesaggi. Continuiamo infatti a “mangiarci” 8 mq di suoli liberi al secondo, cioè un’area grande come quella di Napoli in solo cinque mesi. Siamo esattamente al triplo del consumo medio di suolo in Europa: 6,8% contro 2,3%. In sostanza si potrebbe paradossalmente affermare che il Ministero si trasformerà in una grande (speriamo) Agenzia Viaggi per il Turismo Culturale, mentre la tutela o quel po’ che ne rimane sarà affidata alla mano prudente dei Prefetti sotto i quali andranno a collocarsi le Soprintendenze ridotte – secondo la riforma Madia – a Sottoprefetture. Difatti Franceschini è subito passato con una “normetta” nascista nelle pieghe della legge di stabilità (ormai si “riforma” così“) all’accorpamento delle varie Soprintendenze – archeologia, belle arti e paesaggio – in un solo organismo. Riforma tentata nel 1923 e poi abbandonata dallo stesso fascismo che per bocca del ministro Giuseppe Bottai sostenne che in tal modo venivano frustrate e sacrificate le competenze specifiche degli archeologi, degli storici dell’arte, degli architetti e varò nel 1939 le leggi n. 1089 sul patrimonio artistico e 1497 sul paesaggio, ottime leggi, molto centraliste certo, che però, rese costituzionali, sono servite per anni a tutelare il Belpaese. Così accorpate e depotenziate (in un autentico caos per l’attribuzione degli uffici, degli archivi cartacei e fotografici, ecc.), le Soprintendenze potranno rientrare più docilmente sotto i prefetti e magari sotto il Ministero dell’Interni dove del resto è già allocato il Fondo per l’Edilizia di Culto, l’unico organismo che ha soldi e che si occupa delle centinaia di chiese (pochi lo sanno) di proprietà dello Stato dall’Unità d’Italia, soltanto a Roma SS Apostoli, Chiesa Nuova, Sant’Ignazio, Gesù, Caravita, Sant’Andrea al Quirinale, San Marcello al Corso, Santa Sabina e tante altre. Questi accorpamenti avvengono per aree oltretutto disegnate nel modo più improvvisato: Bologna si vede staccata dalla Romagna e da Ferrara alle quali è sempre stata storicamente e culturalmente legata, per essere collegata con Modena e Reggio Emilia con le quali non ha grandi rapporti. Una follia che sta suscitando la protesta generalizzata degli archeologi soprattutto, giustamente orgogliosi della loro “specificità“, i quali formarono la prima divisione generale (delle Antichità) nel corpo del Ministero della Pubblica Istruzione a fine Ottocento. Ma un sia pur sintetico passaggio devo dedicarlo al capitolo da anni doloroso del personale del Ministero che in certe inchieste giornalistiche dilettantesche viene in partenza considerato “pletorico”. Esso in realtà deve tutelare, conservare, custodire, gestire direttamente o avere sotto controllo indirettamente circa 2 mila aree e siti archeologici (dei quali 740 statali), 95 mila fra chiese e cappelle di cui 85.000 vincolate e circa 2500 “nazionalizzate” (e nel Sud le chiese sono i veri musei di pittura e scultura), più di 7o antiche sinagoghe, oltre 4 mila musei dei quali 700 statali, 1500 civici e 700 ecclesiastici, 40 mila fra torri e castelli, migliaia di archivi, pubblici e privati (25mila parrocchiali e altri 3 mila fra diocesani, seminariali, capitolari, di congregazioni) e di biblioteche antiche, oltre 20 mila centri storici dei quali almeno mille straordinari, circa 141 mila Kmq di territorio vincolato in forza delle leggi Bottai e Galasso (il 47 % del territorio e del paesaggio italiani) e via elencando. Nel 2010 i dipendenti del Mibact erano 21.242. Alla fine del 2011 se ne contavano 19.545 con un calo generalizzato di 1.697 unità (- 8 %) fra esodi e pensionamenti non ricoperti. Alla fine del 2014 il numero dei dipendenti dal Mibact è sceso ancora: esattamente a 18.209 (- 1.636 unità – 8,3 %). Nel quadriennio in esame i dipendenti si sono ridotti di 3.033 unità con una calo percentuale del 14,3 %. Neppure dove gli introiti sono da primato come al Colosseo dove si incassa un terzo di tutte le entrate dei Musei statali: dalle ingenerose polemiche contro i custodi è emerso che gli stessi sono 27 a pieno organico per un pubblico ordinario sulle 10-12.000 unità che diventano anche 25-30.000 nelle tanto vantate domeniche gratuite. Con lo sconvolgimento portato dalle “riforme” renziane le forze in campo per la tutela si riducono ancor più. Comunque già prima di esse avevamo 487 architetti in tutta Italia per vigilare sul territorio vincolato che si è appena detto, cioè un architetto ogni 290 Kmq. Nei nostri archivi statali c’erano 2.761 addetti di cui 365 archivisti di Stato-direttori. Il solo Royal Archive di Londra può contare su 90 archivisti e su un personale complessivo di 530 unità. Nel 2000 il bilancio consuntivo del Mibac registrava risorse pari allo 0,39 % del bilancio dello Stato. Nel 2013 le risorse costituivano lo 0,19 %, con un pratico, disastroso dimezzamento delle risorse in tredici anni. Cali continuati inesorabilmente. Per il prossimo esercizio, in extremis, il governo ha operato una prima inversione di tendenza riportando la spesa prevista quasi ai livelli del 2000 (governi D’Alema e Amato). In termini assoluti, non in percentuale sul bilancio dello Stato e senza recuperare l’inflazione. Tuttavia è prevedibile che i milioni di euro previsti in più rispetto agli ultimi esercizi vengano dirottati sulla valorizzazione e quindi soprattutto sui Musei di eccellenza a discapito della tutela e dei piccoli e medi musei. Per il progetto – tipico della cultura-spettacolo o turbo-cultura – del ripristino dell’Arena Colosseo voluto con grande energia dal ministro – si prevedono (senza contare, temo, le spese indispensabili per regimare le acque del sottosuolo, impetuose, anzi irrefrenabili, per ora, con le grandi piogge) ben 18 milioni di euro coi quali si potrebbero, ad esempio, acquisire e restaurare tanti siti e monumenti oggi non curati della mirabile Appia Antica ancora privata al 90 e più per cento. Per l’Appia poi, la “normetta” Franceschini, ha previsto di creare un Parco archeologico che non avrebbe (il condizionale è d’obbligo) funzioni di tutela bensì di valorizzazione del comprensorio. Per trasformarlo in una sorta di “parco ludico-sportivo-turistico” magari a pagamento? E’ probabile. E contro di esso si è svolta sabato 13 febbraio una grande marcia alla quale hanno partecipato 500 persone. Potevano e dovevano dunque razionalizzare, modernizzare, potenziare il Ministero e le sue articolazioni territoriali a beneficio di tutti, del Belpaese. Hanno invece sconvolto l’esistente, già debole e povero di mezzi e di tecnologie, introducendo non il “nuovo“, ma il caos. Da anni ci aspettiamo il peggio, fin dalla Giornata di protesta nazionale che organizzammo – Bianchi Bandinelli, Assotecnici e Comitato per la Bellezza – con l’indimenticabile Beppe Chiarante esattamente dieci anni fa, l’11 novembre 2005 in pieno berlusconismo. Ma non pensavamo che sarebbe sopraggiunta questa slavina a sconvolgere tutto e a scomporre il Ministero, già tanto indebolito, in una sorta di Agenzia Viaggi e Turismo e in tante Sottoprefetture soggette ai prefetti, cioè al Viminale. Con tutto ciò, continueremo instancabilmente a denunciare guasti e a proporre ragionevoli soluzioni, come ci hanno insegnato a fare i nostri maestri e fratelli maggiori. Come Beppe Chiarante appunto.
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