In Islanda li cacciano a suon di pentole. E da noi? [di Raffaele Deidda]
La memoria riporta agli eventi del 2008, con la crisi finanziaria sfociata nella nazionalizzazione della più importante banca d’Islanda la Glitnir Bank, e nel crollo della moneta. In sostanza la bancarotta del paese, con la sospensione delle attività di Borsa. Ci si ricorda le proteste dei cittadini sotto al Parlamento, armati di pentole, uova e pomodori. Portarono, nel gennaio 2009, alle dimissioni del governo e alle elezioni anticipate. I cittadini rigettarono la proposta di legge del Parlamento per risanare il debito con Gran Bretagna e Olanda. Prevedeva il pagamento di 3,5 miliardi di euro da parte dei cittadini, che si sarebbero fatti carico per 15 anni del debito maggiorato del 5,5%. Furono arrestati banchieri e membri dell’esecutivo. Il paese si rifiutò di sottostare ai diktat del sistema finanziario globale manifestando, con tipico orgoglio isolano, la volontà di determinare il proprio destino senza dover ricorrere all’esterno. Si scoprì che le banche islandesi avevano erogato contributi “politici” pari a 8 dollari per islandese, un ordine di grandezza superiore ai contributi del settore finanziario negli USA. Alla vigilia della crisi, 10 dei 63 parlamentari erano esposti con le banche per più di un milione di euro ciascuno. A causa delle collusioni fra finanza e politica, le banche islandesi avevano perso l’equivalente di sette volte il PIL del paese precedente alla crisi. Un record negativo mondiale. La soluzione della crisi finanziaria è stata rapida rispetto ai tempi europei, anche se non indolore. La rinascita economica islandese è divenuta presto realtà grazie alle azioni di austerity, al mancato pagamento dei debiti, alla svalutazione. Grazie, soprattutto, alla capacità di rinnovamento politico e sociale e all’eliminazione delle commistioni fra politica e potere finanziario. E’ notizia recente che oltre 10mila islandesi sono tornati in piazza con pentole ed ortaggi ottenendo le dimissioni del Premier Sigmundur Davíð Gunnlaugsson dopo che il suo nome e quello della moglie sono emersi dai “Panama Papers” come legati a una società nelle isole Vergini britanniche, con altri 12 tra ex ed attuali capi di stato di tutto il mondo. La società Wintris Inc , fondata per gestire l’eredità della moglie del premier islandese dopo la morte del padre, ammonta a diversi milioni di dollari. Avrebbe fatto affari con le banche islandesi fallite nella crisi del 2008. Il premier aveva venduto il suo 50% per la somma di 1 dollaro alla moglie alla fine del 2009 ma quando fu eletto in Parlamento ad aprile dello stesso anno non dichiarò l’esistenza del conto, violando la legge. Avere soldi nei paradisi fiscali non è illegale per molti paesi a patto che si dichiari il volume di denaro gestito. Per l’Espresso negli elenchi di “Panama Papers” si trovano centinaia di italiani fra imprenditori, professionisti, personaggi dello spettacolo italiani. Il più “illustre” è Luca Montezemolo, presidente di Alitalia già ai vertici di Ferrari e Fiat. Risulterebbe procuratore della società Lenville overseas con sede a Panama, ma non ha mai dichiarato il suo coinvolgimento nella Società offshore. In compenso è supporter di Matteo Renzi: “Ha rimesso in moto l’aereo Italia, la situazione generale è molto migliorata, alcune riforme sono state fatte, il Jobs Act ha avuto una portata storica”(sic!). Da parte sua Renzi aveva ipotizzato per lui il ruolo di consulente del governo “per favorire gli investimenti nel nostro paese” e quello di ambasciatore per la tutela e la promozione del mady in Italy nel mondo. Se quanto riportato da L’Espresso fosse confermato, Montezemolo sarebbe un ottimo consulente per favorire gli investimenti nei paradisi fiscali fuori dall’Italia! Il fatto è che il governo che si proclama di sinistra (di quale?), è lo stesso che ha appaltato lo sviluppo del paese, con la ministra Guidi, al sistema imprenditoriale italiano con ciò che ne è conseguito in tema di conflitto d’interessi, corruzione e “traffico di influenze illecite”. Un governo di sinistra contro cui si agitano non meglio identificati poteri forti, a detta della ministra Maria Elena Boschi. E gli ingenui cittadini che hanno sempre pensato che i poteri forti risiedessero proprio nei settori dell’imprenditoria e della finanza da cui provengono l’ex ministra Guidi, Montezemolo, e la Boschi! Quali altri nomi italiani sono coinvolti nei “Panama Papers”? Se ci fossero politici si dimetterebbero spontaneamente per aver tradito la fiducia del proprio paese o dovremmo chiamare i battitori di pentole islandesi? Oppure avremo la capacità di cacciarli, come si dice in Sardegna, a son’e corru?
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