Ancora venti di guerra nel Nagorno Karabakh [di Ani Manuokyan]
E’ una storia antica quella del Nagorno Karabakh, in armeno Artsakh, territorio nella zona nord-orientale dell’altopiano armeno. Decima provincia dell’Armenia storica fin da tempi antichi, sviluppatasi dal 189 a.C al 387 d.C. Intorno al 1000 fu proclamato Regno di Artsakh, uno degli ultimi regni medioevali armeni orientali autonomo dopo le invasioni turche. Solo a metà del 18° secolo le tribù nomadi turche iniziarono a penetrare i confini settentrionali del Karabakh, dando vita a decenni di guerre sanguinose. Ragione per cui i “Melik” governatori del Karabakh, accettarono la protezione degli Zar russi Nel 1805 il territorio storico dell’Artsakh fu annesso all’impero russo. A seguito del suo crollo il Nagorno Karabakh divenne teatro di scontri continui fra la Repubblica Indipendente di Armenia e la neonata Repubblica Democratica di Azerbaijan, che rivendicava il possesso di territori da sempre armeni nell’area transcaucasica. Gli azeri ebbero l’appoggio dei turchi, già autori del genocidio armeno, e furono compiuti massacri a Baku e in altre località abitate da armeni. Fu poi una risoluzione della Società delle Nazioni ad attribuire al Nagorno Karabakh lo status di territorio conteso, accettato dalle parti in causa. Nel 1921 l’Armenia dichiarò il Nagorno Karabakh sua parte inseparabile e l’Assemblea della Società delle Nazioni ne ratificò l’adesione con una risoluzione. La geopolitica russa accolse in seguito le istanze dell’ Azerbaijan, disconoscendo l’unificazione del Nagorno Karabakh con l’Armenia e accettando nel 1923 l’istituzione di una regione autonoma solo in una parte ridotta del territorio. Le altre sono state assimilate alle regioni amministrative dell’Azerbaijan Sovietico. La questione del Karabakh non è mai stata davvero risolta, restando congelata per decenni. La maggioranza armena del Nagorno Karabakh ha presentato negli anni innumerevoli istanze alle autorità centrali di Mosca, non cessando mai la lotta per essere liberata dall’ Azerbaijan. E’ stato solo a seguito del crollo dell’Unione Sovietica che gli armeni del Nagorno-Karabakh votarono per l’indipendenza, nel dicembre 1991. Da allora il Nagorno-Karabakh si definisce uno stato indipendente, pur non essendo riconosciuto a livello internazionale. Non sono mai cessati però gli scontri tra azeri e armeni per il controllo dell’area e ammontano a diverse decine di migliaia i morti di ambo le parti in conflitto nell’alternanza di scontri e tregue. Le incursioni nei giorni scorsi dell’Azerbaijan contro il Nagorno Karabakh confermano che il conflitto è in atto, insieme alle violazioni del “cessate-il-fuoco” messe in atto, nel corso degli anni, con frequenza crescente dagli azeri a fronte dell’impegno delle Organizzazioni Internazionali nel processo di pace condiviso. Non si è trattato di un incidente di frontiera o di un atto di provocazione ma di azioni di violenza inaudita. Dopo le incursioni militari un gruppo di azeri ha fatto irruzione nel villaggio armeno di Talish uccidendo una coppia di anziani, tagliandogli poi le orecchie. Altri hanno decapitato un soldato armeno ventenne, la cui testa è stata esibita nei social dai soldati azeri. Nulla da invidiare alla truculenza dell’ISIS! Le incursioni sono ad ampio spettro e c’è stato il ricorso alle armi pesanti, specialmente ai missili TR-107 di produzione turca. Il Nagorno Karabakh combatte su quattro diversi fronti: militare, diplomatico, economico, informativo. Il popolo armeno, sia quello del Nagorno, dell’Armenia o della diaspora, è pronto a combattere in prima linea per difendere i territori della Madre Armenia. I militari armeni sono addestrati e motivati ma la debolezza consiste nel non avere, nello scacchiere internazionale, un peso economico e diplomatico equivalente a quello dell’Azerbaijan, forte delle sue risorse petrolifere e del sostegno della Turchia. La guerra è durata 4 giorni, adesso c’é la tregua col cessate il fuoco. E’ apparso chiaro a molti osservatori internazionali il tentativo di parte azera di destabilizzare il processo di pace. Se confermate assumono una inquietante gravità le dichiarazioni del portavoce presidenziale Davit Babayan che ha affermato: “Ci sono motivi per affermare che anche i mercenari dello Stato Islamico e di altre organizzazioni terroristiche hanno partecipato alle azioni aggressive che l’Azerbaigian ha scatenato contro il Nagorno Karabakh.”. Altri osservatori si chiedono se l’attacco azero, senza precedenti per dimensione e intensità, con la consapevolezza della capacità di risposta militare dell’Armenia, non sia riconducibile ad un più ampio scenario geopolitico che vedrebbe ancora una volta il confronto fra tra USA e Russia con lo spettro del ritorno ad una nuova “guerra fredda”. Altri ancora considerano l’ Azerbaijan un paese ricco per via del petrolio ma corrotto, con un presidente-dittatore al governo. Le paghe dei lavoratori però sono più basse che in Karabakh. Per distrarre la popolazione azera dai tanti problemi interni le autorità del paese avrebbero intensificato le tensioni col Karabakh e l’Armenia. L’ultima escalation, rilevano, ha coinciso con la pubblicazione dei “Panama Papers” che riportano gli estremi di miliardi di dollari riciclati, collegati al clan del presidente azero Ilham Aliyev. Con questi presupposti sarebbero ancora una volta gli armeni a pagare il prezzo più alto, con la popolazione del Nagorno Karabakh costretta a vivere fra continue guerre e tregue, e l’Armenia al centro dei complicati rapporti fra Russia e Occidente, in balia di eventi che non ha contribuito a determinare, impegnata ad assicurare un futuro di pace alla sua popolazione.
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