Stasera a Cagliari ore 19:00 Fondazione di Sardegna il film di Paul Meyer “Già vola il fiore magro” [di Umberto Cocco]

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Per due convogli che andavano, uno tornava», dice Pasquale Zaru, 91 anni, di Sorradile, emigrato in Belgio con molte migliaia di sardi e altri italiani – c’è chi dice 230mila in due decenni, fra chi andava e chi tornava – nella prima grande migrazione del secondo dopoguerra,  che svuotò interi paesi. In Sardegna dal Barigadu appunto a Siniscola, dalla Planargia, al Sulcis, alla Barbagia, alla Baronia.

Accadeva 70 anni fa e alcuni comuni, capofila Ula Tirso, con “Paesaggio Gramsci-Associazione per il parco letterario” appena nata, Lamas, la rivista on-line SardegnaSoprattutto, le consulte giovanili e il servizio civile di Sedilo, Neoneli, Nughedu Santa Vittoria, Samugheo, organizzano una stagione di manifestazioni, iniziative, rassegne cinematografiche, da Cagliari a Zuri, per ricordare, riflettere.

Pochi sono i sopravvissuti di quella prima ondata. Ormai novantenni, alcuni li intervista Simone Cireddu, e i video saranno presentati nel corso delle diverse iniziative pubbliche da qui a giugno, mentre oggi mercoledì 13 aprile a Cagliari (Sala conferenze della Fondazione di Sardegna, via San Salvatore da Horta 2) alle 19, viene proiettato un film che fu un caso quando uscì nel 1994, protagonista un emigrato di Ula Tirso, Pietro Sanna, i suoi figli, la sua famiglia. Il film è Già vola il fiore magro (dal verso di una poesia di Quasimodo), di Paul Meyer: commissionato al regista dal governo belga alla fine degli anni ’50, doveva raccontare la felice integrazione fra comunità di emigrati, greci, slavi, italiani.

Invece Meyer vede un’altra realtà: sia pure senza immergersi mai nei pozzi a riprendere il lavoro dei minatori nei cunicoli, stando sulla superficie, racconta la desolazione della vita nelle baracche che i nazisti avevano da poco utilizzato per rinchiudere i prigionieri sovietici e che erano ora le residenze degli operai e delle loro famiglie.

I giochi di un figlio di Pietro Sanna si alternano alla scuola dove cerca di apprendere il francese, ai balli in piazza dei greci, ai silenzi del padre già roso dalla nostalgia e dalla disillusione, mentre aspetta alla stazione di Flénu che arrivi il treno con la moglie e gli altri figli che hanno deciso di raggiungerlo.

Ritirata dalla circolazione la pellicola uscita nel 1960, il governo ha preteso dal regista la restituzione delle somme anticipate alla produzione. Meyer, pagando a rate – racconterà – durante tutta la sua vita di autore non di successo nonostante fosse apprezzato anche da Zavattini, ha riscattato i diritti nei primi anni ’90. Il film è uscito definitivamente nel 1994: è stato in programmazione per alcune settimane in 50 sale a Parigi, è passato anche in Sardegna, nel Sulcis, presente il regista (morto nel 2007).

Ci saranno i nipoti di Pietro Sanna mercoledì a Cagliari, figli di quei ragazzini che si rincorrono nel film, lanciandosi nelle pendenze dei cumuli di carbone. Alcuni sono rimasti in Belgio, altri sono tornati. Li ha invitati il sindaco di Ula Tirso, Ovidio Loi, che presenterà con il sindaco di Nughedu, Francesco Mura e con Marzia Camboli di Neoneli, insieme con Maria Antonietta Mongiu presidente del Fai Sardegna, la serie di iniziative di questa ricorrenza, sostenute dalla Fondazione di Sardegna.

Il primo convoglio partì dalla stazione di Milano la sera del 12 febbraio del 1946. Di quei mesi sono gli accordi fra i governi italiano (presidente del consiglio De Gasperi) e quello belga, che passano sotto il nome «uomini contro carbone», brutalmente – così era scritto in un protocollo – perché all’Italia il governo del Belgio avrebbe riconosciuto e “versato” fra 2500-5000 tonnellate di carbone al mese ogni 1.000 maschi, giovani e sani, sotto i 35 anni di età, condotti in miniera.

Le locandine affisse nei paesi dicevano: «Interessantissimo: cercasi operai italiani». Promettevano alti salari, ed era vero che non ce n’erano di eguali allora in Italia e in Europa. Un alloggio, e trovarono baracche di lamiera, fredde d’inverno, surriscaldate d’estate. La promessa di poter presto farsi raggiungere dalle famiglie. I parroci si mobilitarono a pre-selezionarli. Gli uffici di collocamento reclutavano, e così partivano a centinaia, dalle stazioni ferroviarie, destinazione Milano dove venivano sottoposti a una visita medica nei sotterranei della stazione: gli “abili” infilati nei convogli per il Nord, gli altri indietro, a casa.

Per esempio 90 lasciarono Ardauli per le miniere del Borinage, un decimo della popolazione: aprì la strada il giovane sindaco sardista, Francesco Ibba, nonostante fosse stato appena eletto. Tornerà alcuni decenni dopo, diventerà nella Cgil di Oristano il referente del sindacato belga per l’assistenza agli ex minatori, ha scritto la sua testimonianza in un libro premiato dall’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano, e sono più dure le pagine sulla Sardegna che quelle sulle miniere dove pure si impiega.

Ma oggi è che come se fosse a rischio la memoria di quell’impressionante esodo, nonostante abbia segnato il destino di questi paesi. I minatori tornati non hanno raccontato volentieri, non lo fanno volentieri i non molti sopravvissuti. Il tema è enorme: che peso ha il ricordo, la testimonianza diretta, nella costruzione delle vicende storiche e delle identità collettive. E alla morte dei protagonisti, cosa succede?

Dedica un numero monografico a quello che chiama «il governo della memoria» la rivista trimestrale «Studi Emigrazione», riflettendo sulle tragedie minerarie attraverso cui le istituzioni cercano di fissare il ricordo dei grandi passaggi della storia. Se non fosse per Marcinelle – 262 operai  arsi vivi nel pozzo di Bois du Cazier, l’8 agosto del 1956. Fra loro 136 italiani – anche il Belgio, chi se ne ricorderebbe più?

Non c’erano sardi, e fu un caso. I sardi morirono a decine, in altri incidenti, prima e dopo. Ce ne sono almeno 20mila in Belgio, oggi, vivi, figli e nipoti di quella emigrazione. »La storia delle migrazioni è storia di chi va via ma almeno altrettanto storia di chi resta» ,dice Martino Contu, che coordina una ricerca capillare nei paesi sardi.

 

 

 

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