Lunedì prossimo comincia alla Camera dei Deputati la discussione della proposta di legge per il riconoscimento della casa Gramsci come monumento storico nazionale. Lo è dal 1937 la casa natale di Grazia Deledda a Nuoro, e sempre in Sardegna lo stazzo di Caprera dove Garibaldi morì, e ora entra in questo novero di luoghi significativi dell’Italia la casettina a un piano lungo il corso di Ghilarza dove i Gramsci si affollavano in poche stanze di una dimora pure borghese, dove “Nino” ha vissuto gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza, dove è tornato ogni volta che ha potuto, e soprattutto con la mente sino alla fine dei suoi giorni, immaginando di riparare nel suo paese all’uscita dal carcere.
Il 21 il voto finale, e poi il passaggio all’aula del Senato, e dunque sembra imminente il riconoscimento di quella piccola casa come «luogo dove l’intera nazione fisicamente riconosca il punto di inizio di una vicenda esistenziale che ha lasciato il segno», ha detto Luciano Canfora nell’audizione in commissione cultura. «Poco importa se si tratti di luoghi cospicui o umili. Questi anzi sono i più significativi».
Insieme al direttore dell’Istituto Gramsci, Giuseppe Vacca, Canfora è uno degli intellettuali ascoltati dalla commissione cultura della Camera nei mesi scorsi, a sostegno della proposta di legge di alcuni parlamentari di diverso orientamento politico, prima firmataria la deputata oristanese Caterina Pes.
Il riconoscimento che mette la casa di Gramsci fra i monumenti nazionali insieme a biblioteche, monasteri, palazzi, alla Risiera di San Sabba e alla casa dei fratelli Cervi, nel lungo elenco che già il Regno d’Italia cominciò a compilare, arriverà a cavallo del 79° anniversario della morte di Antonio Gramsci (il 27 aprile 1937), pochi mesi dopo che la Sovrintendenza ai Beni culturali per le province di Cagliari e Oristano ha riconosciuto il valore storico dell’edificio e il percorso museale che vi è ospitato come bene di interesse culturale.
Erano molti anni che la famiglia e l’associazione degli Amici della Casa Gramsci proponevano questo riconoscimento, e il Pci in parlamento ci provava, dagli anni ’60 quando il partito acquistò l’abitazione del corso di Ghilarza, la curò e gestì con il fior fiore dell’intellettualità di sinistra, gli ambienti Einaudi di Torino (un cognato dell’editore, Vando Aldrovandi, fu il presidente dell’associazione), i circoli Laterza mentre usciva la biografia di Gramsci scritta da Giuseppe Fiori, la Casa della Cultura di Milano, Giulio Carlo Argan a Roma, Aldo Tortorella, e nel partito sardo Renzo Laconi e sino a Mario Birardi.
Segno dei tempi, è alla fine ormai irreversibile del Pci, alla volatilizzazione delle sue ceneri, di quasi ogni traccia della sua tradizione, che il parlamento compie questo passo. Relatrice alla Camera lunedì è una deputata del Pd, Mara Carocci, sessantenne ligure, dirigente scolastica, tesi di laurea su Antonio Gramsci. Viene dal Pci come Walter Tocci, che è il relatore nella discussione successiva al Senato, anche lui della stessa tradizione, già vicesindaco di Roma. Con la parlamentare oristanese e l’intero gruppo Pd nelle commissioni permettono un riscatto al partito di Renzi nella ricerca di un qualche punto di riferimento che non siano solo il papa, don Milani, John Kennedy.
Ma che la proposta sia già passata in commissione, è il segno che Gramsci non fa più paura, e che l’Italia può riconoscerlo come un padre, un classico come effettivamente è in molte parti del mondo, molto al di là della tradizione comunista e della sinistra.
Sembra persino essere stato troppo facile questo tratto finale, ma la svolta è di un anno fa, nel cambio di passo della proprietà della casa di Ghilarza, la Fondazione Berlinguer che in Sardegna gestisce il patrimonio immobiliare del Pci-Pds-Ds.
Si è compreso lì (presidente Francesco Berria, già consigliere regionale e, prima, sindaco di Orune), che il limbo nel quale l’abitazione e gli oggetti di Gramsci erano stati lasciati, con la grande biblioteca, la collezione di quadri donati da importanti artisti nel corso dei decenni, non poteva continuare. Il tratto localistico, chiuso, assunto a cominciare dai primi anni 2000 e descritto in parte da Giuseppe Vacca nell’audizione in commissione cultura, non solo non aveva la grandezza anche drammatica della gestione di Gramsci da parte di Togliatti e del Pci sino a Berlinguer, e le aperture internazionali, ma rinchiudeva la figura dell’intellettuale sardo in una dimensione che accresceva le diffidenze del suo stesso paese d’origine, i luoghi che aveva amato e nei quali si era identificato, e aveva descritto con parole mirabili.
Berria e il nuovo consiglio di amministrazione hanno ripreso tutti i fili, e con la Sovrintendenza ai beni culturali e sino al gruppo Pd alla Camera hanno messo sulla strada giusta, nella sua dimensione anche simbolica, quella casetta a un piano al centro di Ghilarza il cui profilo fra l’altro diventerà probabilmente il logo della nascente Fondazione Casa Gramsci. E’ questione di settimane ormai per la firma dell’atto di nascita di questo organismo, in cui la proprietà (la Fondazione Berlinguer appunto), con la famiglia Gramsci-Paulesu, l’Istituto Gramsci di Roma, avviano una nuova gestione del museo, con aspirazioni importanti, invitando il Comune ad avere un ruolo nella presa di coscienza che Ghilarza è una delle “capitali morali dell’Italia” e quello di Gramsci “un nome che apre agli occhi della mente un grande paesaggio, come accade con pochi altri nomi dell’intera storia civile e vita intellettuale italiana.”.
Citazioni da Adriano Prosperi, storico della Normale di Pisa, non a caso ospite a Ghilarza per due volte negli ultimi mesi, cofondatore dell’associazione Paesaggio Gramsci che ha sede a due passi dalla casa monumento nazionale. La votazione alla Camera è in calendario il 21 aprile.
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